Internet fonte di gioie, dolori e turbamenti: partendo da wikipedia e addentrandomi in altri risultati offerti da Google, ho trovato una lista degli adattamenti di Jane Eyre per il grande e il piccolo schermo.
Avere un elenco di partenza a disposizione mi ha suggerito la malsana idea di recuperarli tutti. Mi sono fermata alla visione della quarta trasposizione, quando ormai ero stata travolta dall’impressione vertiginosa di una moltiplicazione incontrollata.
Quindi, per il momento vi invito a non ripetere l’esperimento: non sono certa che non abbia effetti nefasti e al momento ho deciso di sospendere io stessa l’impresa. Almeno finché non avrò rintracciato Ho camminato con uno zombi, un horror liberamente ispirato al romanzo di Brontë.
Ruth Wilson (Jane) - Susan White, 2006 |
Il punto è questo: ero convinta che, passando dagli anni Quaranta ai più recenti Duemila, avrei potuto cogliere letture del romanzo tra loro diverse e culturalmente determinate. Forse L’angelo dell’amore (1934) mi avrebbe dato maggiore soddisfazione in questo senso, ma riponevo qualche speranza anche nella Porta proibita (1944), che ho voluto vedere proprio per il titolo che si rifà a una scena di fatto assente nel romanzo.
Orson Welles (Rochester) e Joan Fontain (Jane Eyre) - Stevenson, 1943 |
Confesso che, già mentre ascoltavo Piccolomini leggere Jane Eyre, non sono riuscita a evitare di associare Rochester a Barbablù e immaginavo di trovare nel film di Stevenson una risposta consonante alla mia ipotesi. In realtà, la porta proibita a Jane non nasconde un segreto tanto sanguinoso.
Delusa di non aver trovato sostegno nella scarsa stima per Rochester, posso almeno accontentarmi di aver individuato la meno fedele tra le trasposizioni che posso confrontare. La porta proibita, in effetti, si prende molte libertà, in particolare nella seconda parte: gli eventi che seguono l’incontro tra Jane e la zia Reed seguono un percorso autonomo rispetto al romanzo.
In ogni caso, è garantito il rispetto degli snodi focali della storia e sono convinta che la visione sia interessante soprattutto per l’atmosfera e l’ambientazione, tra le più cupe realizzate. Sorprendente se si considera che il film è stato interamente girato in studio.
E, inoltre, come non apprezzare il non detto? Bertha è una presenza di urla, ombre e porte agitate, ma allo spettatore non è dato di vederla. Certo, non suscita alcun timore ma è una scelta che accentua, nell’immaginario, la deformazione provocata dalla pazzia.
Ulteriore fonte di apprezzamento è l’interpretazione di Orson Welles, la cui fisicità contribuisce a renderlo il più credibile tra le varianti del protagonista. Non che non abbia apprezzato Toby Stephens che ancora ricordo sulla Walrus (nda Fatevi un favore e recuperate Black Sails), ma il tormento del personaggio per me è insuperabile in Welles.
Toby Stephens (Rochester) e Ruth Wilson (Jane) - Susan White, 2006 |
L’aggancio di Stephens è ottimo per parlare della miniserie prodotta nel 2006 dalla BBC.
Se il fascino piratesco di Stephens ha influenzato la mia visione, è innegabile la passionalità trasmessa dagli sguardi del suo Rochester e la sintonia con Ruth Wilson ha reso la loro interpretazione migliore.
Sebbene alcune scene d’amore strizzino troppo l’occhio allo spettatore moderno, nella versione della BBC, complice lo spazio offerto da quattro episodi, emerge tutta la complessità del rapporto tra Jane e Rochester, ma è Wilson a restituire l’intelligenza e la determinazione della protagonista brontiana.
L’espressività del suo viso mette in campo la lotta emotiva di una giovane donna divisa dall’amore per un uomo facoltoso e ombroso, che le mostra un inusuale rispetto e la vede come una sua pari, e un amor proprio che la fede nel proprio valore di essere umano ha sostenuto fin dalla sua infanzia.
Il mio interesse verso l’adattamento di Sandy Welch è legato all’inserimento di alcuni riferimenti alla cronaca e agli studi scientifici contemporanei tramite gli ospiti di Thornfield. Più volte, infatti, si torna sulla curiosità di Mr. Eshton verso i gemelli, mentre è fonte di una crudele ilarità la notizia di un ragazzo selvaggio cresciuto e catturato nelle foreste parigine.
Un altro merito è la resa di Saint John: forse per la prima volta, il personaggio appare nella complessità descritta da Brontë, rendendo più evidente il gioco prospettico tra lui e Jane.
È una novità importante soprattutto se si pensa all’immagine del prete nel film di Fukunaga, protagonista di una della scena che più ho odiato in assoluto.
Jamie Bell (St.John) e Mia Wasikowska (Jane) - Fukunaga, 2011 |
In compenso, Welch ha tratteggiato una delle peggiori immagini di Adele in assoluto. Forse, nel 2006 Cosima Littlewood era già troppo grande per la parte, ma le è toccato indossare i bei vestiti di una Adele vanesia e pigra nel ragionamento, spesso maltrattata da Rochester che si prende gioco della sua scarsa intelligenza. Una scelta che non ho apprezzato.
Con una certa sorpresa scopro che gli aspetti su cui ci si potrebbe soffermare sono infiniti, ma si dà il caso che non voglia ammorbarvi. Sfumo, quindi, il mio commento sulle trasposizioni, anticipandovi che ci sarà una seconda parte in cui mi concentrerò sui film di Fukunaga e Zeffirelli.
Quali adattamenti avete visto? Ne avete uno preferito?
Ti potrebbe interessare:
Commenti
Posta un commento
Grazie per la tua visita ♥ Se ti è piaciuto, ma anche se non ti è piaciuto, quello che hai letto, lasciami un tuo commento per farmi sapere cosa pensi.
I dati che inserirai nel modulo saranno visibili insieme al tuo commento. Leggi l'informativa sulla privacy per saperne di più.