Recensione: "Jane Eyre" di Charlotte Brontë

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L’idea di concedermi un’occasione con Jane Eyre ha preso forma lo scorso novembre, quando mi è capitato tra le mani Il grande mare dei Sargassi di Jean Rhys. Il romanzo costituisce una sorta di prequel della celebre opera di Charlotte Brontë. Mi ha attirato all’istante, ma non potevo prenderne in considerazione la lettura senza aver affrontato il classico inglese.

copertina jane eyre

Titolo: Jane Eyre
Titolo originale: Jane Eyre: An Autobiography
Autore: Charlotte Brontë
Traduttore: Monica Pareschi
Prima edizione italiana: Fratelli Treves - 1904
Prima edizione: Smith Elder and Co - 16 ottobre 1847
Pagine:
Prezzo: cartaceo - € 12,90; ebook - € 6,99
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Orfana di entrambi i genitori, Jane viene accolta nella famiglia dello zio materno. Alla morte di quest’ultimo, però, la vita della bambina viene resa difficile dalle angherie dei cugini, che agiscono con la compiacenza della madre. La zia, infatti, disprezza profondamente Jane e giunge a infliggerle punizioni traumatiche. Grazie al suggerimento di un farmacista, però, la vita di Jane cambia: viene mandata in un collegio femminile per orfani.
Benché le condizioni dell’istituto di Lowood siano terribili, Jane riesce a trovare soddisfazione nello studio: riceve un’educazione che le permette di insegnare nello stesso collegio e poi di ambire a trovare un’occupazione al di fuori delle mura che l’hanno protetta dai Reed, ma la hanno esclusa dal mondo.
Viene assunta come precettrice in una tenuta nobiliare. Si trova a Thornfield già da qualche tempo, quando Jane fa finalmente conoscenza con il proprietario del maniero.
Rochester non sembra essere un uomo affabile, ma a poco a poco inizia a interessarsi a Jane e a confidarsi con lei: in lei trova un interlocutore alla sua altezza.
All’arrivo di Rochester, però, fanno seguito episodi inquietanti e apparentemente fugaci, che sembrano non intaccare la quiete quotidiana. D’altra parte, la signora Fairfox, governante di Thornfield, aveva già spiegato a Jane che il terzo piano era occupato da Grace Poole, una domestica un po’ rumorosa e sopra le righe. Sue sono le lugubri risate.

Da qualche giorno ho iniziato l’audiolibro di Moby Dick e, sebbene mi abbia già dato prova di essere un caso a sé, ha confermato l’impressione che mi era scaturita dall’ascolto di Jane Eyre: ovvero che intonazione, voce e altri accorgimenti possono influenzare il senso di un testo. La lettrice, Elisabetta Piccolomini, ha una voce matura che, sulle prime, mi sembrava stonare con la protagonista che, all’inizio del libro, è una bambina. In un secondo momento ho capito quanto fosse adatta.
C’era dell’altro. La sensazione angosciosa di un qualcosa che sarebbe sopraggiunto a turbare, e peggiorare, la situazione alquanto precaria di Jane. Se Brontë confeziona un’atmosfera inquietante, la nota di mistero è accentuato, nell’audiolibro, dai brani musicali che inframezzano la lettura.
Una scelta stilistica che forse qualcuno biasimerà, ma che probabilmente compensa ciò che la parola scritta può suggerire alla nostra immaginazione.
L’influenza della letteratura gotica e romantica è innegabile, eppure Brontë rielabora l’elemento soprannaturale nel romanzo: da una parte ogni fenomeno in apparenza inspiegabile trova una spiegazione psicologica o razionale, dall’altra riesce a preservare la funzione simbolica permettendo di analizzare il momento particolare vissuto da Jane.
Il romanzo si presenta, infatti, come una narrazione autobiografica intrapresa dalla protagonista ormai adulta. La maturità raggiunta le permette di guardare con misurato distacco alle vicende della sua infanzia e giovinezza, commentandole con il lettore e rivelando le proprie ingenuità.
Forse è stato questo coinvolgimento diretto a trascinarmi al fianco di Jane mentre prendeva le decisioni più difficili e, tuttavia, non mi sono sentita toccare dai suoi sentimenti per Rochester. Probabilmente mi sono fatta suggestionare dall’episodio del suo arrivo a Thornfield, quando Jane ricorda la leggenda del Gytrash.
Le vicende amorose, dunque, sono per me passate in terzo piano. Secondarie, ma non per questo meno potenti, sono anche la denuncia delle condizioni di molti orfanotrofi e la critica di schemi sociali che limitano soprattutto la donna. Non a caso, più volte, si sottolinea che Jane non è bella e manca di grazia.
Per contrasto, invece, risaltano le numerose doti della protagonista. Determinata e intelligente, la volontà di Jane non viene mai meno. L’allontanamento da Gateshead le offre l’occasione di emanciparsi: nonostante le privazioni a cui è sottoposta, Jane studia e l’istruzione diventa la chiave della sua autonomia e della sua libertà.
Jane è una protagonista capace di affermarsi, di rivendicare il proprio io e di decidere il proprio futuro. Nemmeno per amore, Jane è disposta a rinunciare alla propria indipendenza.

Non sono un uccello; e non c’è rete che possa intrappolarmi:
sono una creatura umana libera, con una libera volontà, che ora esercito lasciandovi.

L’attualità di Jane Eyre non è di certo in una figura ombrosa come Rochester, ma nella forza della rivendicazione della protagonista.
Più in generale il romanzo di Charlotte Brontë sovverte diversi schemi a cui si era (e si è) abituati: il riscatto di Jane non è opera di un uomo, né viene realizzato grazie al matrimonio.
Mi ero tenuta alla larga da Jane Eyre a causa dello sciocco pregiudizio che, poiché non avevo apprezzato Cime tempestose (non sono mai riuscita a finirlo), non avrei trovato alcunché di soddisfacente nel romanzo della sorella. Quell’idea, ben poco lusinghiera per me, è stata evidentemente distrutta e la forza di Jane è ciò che ho amato di più.

Il mio voto

4 specchi e mezzo


Una curiosità: Jane Eyre è uno dei libri citati in Papà Gambalunga. Judy rimane molto impressionata dalla lettura del romanzo, in particolar modo dalla descrizione delle condizioni di vita a Lowood, simili a quelle dell’orfanotrofio in cui è cresciuta. A ben vedere i punti in comune tra i due romanzi sono molto numerosi: il romanzo di Webster ricalca la trama principale di Jane Eyre.

Commenti

  1. Quando ho iniziato Jane Eyre, anni fa, ero un po' sulle spine: letto per curiosità e dovere, più che per vero desiderio, e con il timore che non mi sarebbe piaciuto, che non l'avrei capito.
    Molto banalmente, ho capito che invece lo avrei amato alla follia quando Jane manda a quel paese la zia per come l'ha trattata. Era la catarsi di cui non sapevo di avere bisogno, dopo mezza infanzia passata con orfanelle angeliche pronte a perdonare tutto e porgere l'altra guancia.

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    1. Davvero. Senza essere presuntuosa, Jane non si piega e crede in se stessa. E un personaggio così è un raggio di sole quando si teme l'ennesima protagonista dimessa

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