Recensione: "La paga del sabato" di Beppe Fenoglio

Il partigiano Johnny, I ventitré giorni della città di Alba, Una questione privata.
Fenoglio si ricorda di solito per questi tre titoli. Talvolta si aggiunge Primavera di bellezza; mai vengono menzionanti i racconti meno noti raccolti ne La favola delle due galline che pure risultano interessanti.
Fenoglio è per lo più associato agli scritti della Resistenza, senza dubbio importanti e fondamentali sia sotto il profilo della sua produzione sia in prospettiva storica. Meno fortuna ha avuto La paga del sabato che, in effetti, non racconta la Resistenza in senso stretto: il fulcro è una resistenza minore, un seguito esistenziale indagato dallo sguardo lucido, netto e introspettivo che distingue Fenoglio.

Non è scontato che ci si interessi alla produzione fenogliana solo per averne amato le opere più note o perché, semplicemente, di Fenoglio si tratta. Nel mio caso l’attenzione per La paga del sabato è scaturita dallo studio della collana einaudiana dei Gettoni e dalle vicissitudini editoriali che hanno riguardato Fenoglio e, in particolare, il romanzo in questione e I ventitré giorni della città di Alba.
Sebbene il romanzo non lo avesse convinto, Vittorini, che era curatore della collana, intravide del potenziale nei racconti di Fenoglio. Lo scrittore accolse le critiche e si concentrò sui racconti, pubblicati in seguito sotto il titolo I ventitré giorni della città di Alba.
Nell’edizione ET Scrittori (2022) Baricco e Ferrero analizzano più puntualmente il caso. D’altra parte, è mia volontà concentrarmi su un altro aspetto rilevante: la narrazione antieroica del dopoguerra, della vita o di ciò che ne rimaneva.

Titolo: La paga del sabato
Autorə: Beppe Fenoglio
Prima edizione: Einaudi - 1969
Pagine: 136
Prezzo: cartaceo - € 10,00; ebook - € 6,99

La guerra è finita, ma per Ettore e i giovani che hanno combattuto non esiste la pace. Sembra impossibile reinserirsi nei meccanismi della società regolare, trovare un lavoro, contribuire alla vita famigliare, costruire un futuro.
Ettore appare dominato dalla frustrazione e dalla rabbia, sentimenti che non può evitare di riversare sulla madre. C’è in Ettore l’insoddisfazione per un passato, quello della Resistenza, dal quale non ha ottenuto riconoscimenti e che gli è difficile dimenticare.
Quando gli si presenta l’opportunità di un lavoro avventuroso per quanto disonesto, Ettore accetta.

perché potessimo continuare a vivere visto che non eravamo morti in guerra.

Romanzo breve e densissimo, La paga del sabato rivela tutta la capacità introspettiva di Fenoglio. Ettore appare scolpito nella roccia: spigoloso, duro con sé stesso prima che con gli altri e fragile, umano.
Il sentimento frustrato e nostalgico della Resistenza sono replicati nei personaggi di Bianco e Palmo, funzionali anche nell’evidenziare l’evoluzione psicologica di Ettore. L’opposizione a Palmo, per esempio, fa emergere la comune disperazione e le differenti aspirazioni.
Palmo è davvero un disadattato, incapace di immaginare la propria vita senza l’ombra del banditismo. Ettore, invece, è un individuo a sé, ambizioso e capace di recuperare la più importante lezione appresa in guerra.

c’è solo più un discorso che voglio ascoltare, e questo discorso me lo faccio io, c’è solo una lezione che voglio tenere a mente, e mi odio se penso che l’avevo già imparata bene e poi col tempo me la sono dimenticata. Non finire sottoterra. Per nessun motivo. Non finire sottoterra. Né in galera.

Quasi scusandosene, Fenoglio attribuì La paga del sabato a una sbandata neoverista: più tardi, i critici riconobbero le influenze di Steinbeck e Hemingway. A mio avviso, però, nel romanzo si riconosce l’accetta di Fenoglio: una penna netta e precisa, ma anche crudele e spietata nell’onestà con cui restituisce la vita. Al punto che talvolta sembra di leggere episodi reali e molto poco romanzati.
Ho trovato interessante il passaggio dalla terza alla prima persona singolare nel capitolo in cui Ettore vive la sua prima avventura postbellica. Una scelta che forse non sarebbe sopravvissuta se Vittorini o altri avessero deciso di pubblicare il romanzo.
C’è un ulteriore spunto offerto dall’analisi dei personaggi incontrati da Ettore: il ricco fascista e l’ex banchiere ebreo. Lo sguardo che li descrive e ne racconta la paura è pietoso con entrambi. D’altra parte, Ettore si dimostra capace di riguardi per il primo, benché rappresenti l’odiato nemico e sia una sua vittima, e duro, quasi spietato con il secondo.
È difficile imbattersi nella Paga del sabato e ancora più raro è leggerla. Ti consiglio di farlo. Ho letto più volte I ventitré giorni della città di Alba e Una questione privata: senza motivo ero meno attratta da La paga del sabato. Mi è piaciuto perché ho trovato una dispensa fenogliana, con le tematiche e lo stile, forse ancora acerbi, comuni alle opere più note.
Tengo a soffermarmi, in quest’ultima parte, sull’edizione in mio possesso, la già citata ET Scrittori con l’introduzione di Baricco e la Nota di Ferrero. Ho trovato spiacevole e riduttiva la trama in quarta di copertina: se è comprensibile la scelta di raccontare l’intero romanzo, meno condivisibile è la definizione di Ettore come “tipico disadattato uscito dalla guerra partigiana”.
Di contro sono molto apprezzabili le note di Ferrero e la cronologia della vita e delle opere, che fanno trasparire o per lo meno ipotizzare tratti autobiografici anche nel romanzo letto.

Il mio voto

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