Discriminazioni, abusi, razzismo e alcune cose che ci fanno comodo

Le scintille che mi hanno ispirato a rendere pubblica la mia riflessione, pur nella sua limitatezza, sono Anncleire, della quale vi invito a leggere #BlackLivesMatter: un mio punto di partenza informativo, e Alessandro Masala, in particolare il video Due parole conclusive su George Floyd, le proteste e Antifa.
In molte occasioni ho scelto di prendere in cuore mio le distanze da certe situazioni, credendo che si trattassero di questioni personali che non potevano trovare spazio su un blog letterario e soprattutto non ritenendomi sufficientemente preparata per affrontare compiutamente la delicatezza di alcune tematiche. Ma Ann e Shy hanno ragione: è fin troppo confortevole indignarsi in privato e rivendicare i diritti umani senza muovere un dito, senza neppure parlarne o al più lasciando qualche like a chi lo sta facendo. E intendiamoci: condividere e mettere like è già qualcosa, meglio ancora se ci si è soffermati sui contenuti.

proteste manifestazione black lives matter

Non è che, tutt’a un tratto, mi senta abbastanza edotta da approfondire le complesse dinamiche che agitano gli Stati Uniti in seguito all’ennesimo episodio di violenza da parte della polizia deresponsabilizzata da una prima, faziosa autopsia.
Riconoscendo le mie mancanze, non voglio ripercorrere gli eventi, ancora caldi e comunque affrontati da più parti. Desidero, invece, «fare da cassa di risonanza» e cercare di ridurre il sollievo e l’estraneità prodotti dalla lontananza geografica.
«Da noi non succede/non sarebbe successo» e talvolta l’indignazione sono varianti del potteriano Oblivion.
Ho letto articoli edificanti che, riportando episodi estremamente pacifici di confronto tra polizia e criminali, spingevano a immaginare risoluzioni alternative a Minneapolis a base di abbracci e parole, per farla breve. Con uno sforzo molto piccolo, possiamo ricordarci che gli abusi delle forze dell’ordine non sono estranee alla storia recente dell’Italia o, ahinoi, di altri Paesi.
La questione razziale che segna storicamente gli Stati Uniti non ha un equivalente europeo, ma il razzismo è una piaga che non risparmia l’Europa e tanto meno l’Italia. Si possono riconoscere i diritti della comunità afroamericana, ma l’esistenza degli afroitaliani?
Se Minneapolis è stata la scintilla che ha dato fuoco alla polveriera, anche il nostro vaso raccoglie gocce che minacciano di colmare la misura. Si tratta di situazioni altrettanto complicate e delicate, che si ramificano intorno a questioni di cui sembra impossibile trovare una risoluzione.

braccianti sfruttamento caporalato regolarizzazione

Mentre la stagione del raccolto favorisce la fioritura di vere e proprie baraccopoli che accolgono lavoratori in nero, braccianti agricoli sottopagati e privi di qualsivoglia tutela, si discute sul significato e sui risvolti di una regolarizzazione degli immigrati. Immigrati che, ricordiamolo, sono inseriti nel nostro tessuto sociale e spesso in situazioni lavorative non sicure. I datori di lavoro li accolgono per loro vantaggio e tutti gli altri girano la testa, il più delle volte nutrendo inconsapevolmente il loro sfruttamento.
Ma per lo più, la regolarizzazione dell’immigrato risulta inaccettabile perché «prima gli italiani», «e allora noi»? Come se riconoscere un diritto sia un furto e non un vantaggio, come se non volesse dire difendere anche i propri diritti.
Le nostre gocce, le nostre scintille. Due settimane fa un bracciante di origini indiane è stato licenziato e malmenato dai suoi datori di lavoro: ha osato chiedere una mascherina. Due anni fa Soumaila Sacko, un bracciante malese, è stato ucciso mentre cercava materiale non infiammabile per rendere più sicura la tendopoli della piana di Gioia Tauro. Li abbiamo lasciati soli?
Se non sono gli immigrati, allora sono i meridionali perché l’Italia è ancora questo; è ancora la contrapposizione noi/loro che si rinegozia di volta in volta.

Ci sconvolgono le notizie che arrivano dall’altra parte del mondo ed è giusto, ma non è abbastanza. Si devono piangere le vite di persone morte a chilometri da noi, ma è quanto meno ipocrita se siamo disposti ad accettare che non si soccorrano disperati su gommoni in balia del mare, che non si riconoscano e tutelino i diritti di tutti.
Ricordiamoci questi valori, quando i pregiudizi fanno capolino tra i nostri pensieri. Ricordiamoci che ci siamo dichiarati partecipi alle manifestazioni di dissidenza in nome dei diritti umani, quando andiamo a votare. Non rimaniamo a osservare, non accontentiamoci di una conoscenza sufficiente a poterne parlare sfuggevolmente con i nostri conoscenti.
Possiamo agire e agire è anche decidere di non aspettare il post, la story o il tweet da ricondividere.
Non sfugge che la partecipazione di questi giorni è tanto elevata da rendere commenti come il mio una lungaggine volatile. Eppure, ho un timore: che sia stato un attimo scorrere il social di turno, passare sul cuore e condividere. E se domani ci chiederanno di estendere un diritto, avremo dimenticato tutto.

Se siete interessati al tema dei diritti dei lavoratori, vi consiglio il film Pane e libertà disponibile su raiplay.it
Sul tema dell’immigrazione, vi rimando a I fantasmi di Portopalo e Immigrato.
Per approfondire lo sfruttamento e le condizioni dei braccianti in Italia, vi consiglio di seguire l’account instagram di Aboubakar Soum.

Commenti

  1. Trovo quasi paradossale l'indignazione per quanto successo in America, quando è praticamente impossibile parlare, in Italia, di quello che vivono gli afroitaliani. Forse non abbiamo una polizia che prende sistematicamente di mira i cittadini neri, ma abbiamo una società dove ancora lo ius soli è considerato divisivo, qualcosa per cui l'Italia non è pronta. E trovo assurdo che persone nate e cresciute in America abbiano la cittadinanza italiana senza aver mai visto l'Italia, perché i loro nonni sono emigrati, mentre delle persone nate e cresciute in Italia no, loro non sono italiani.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Anch'io trovo tutto molto assurdo. E semplicemente, anche se di semplice non c'è nulla, credo che buona parte del problema stia nella metodica applicazione del "però gli altri" perché è sempre qualcun altro che deve fare qualcosa, prima che sia il caso di fare qualcosa noi.
      E se questa cosa viene fatta in un altrove lontano, beh, tutto sommato è meglio.

      Elimina

Posta un commento

Grazie per la tua visita ♥ Se ti è piaciuto, ma anche se non ti è piaciuto, quello che hai letto, lasciami un tuo commento per farmi sapere cosa pensi.


I dati che inserirai nel modulo saranno visibili insieme al tuo commento. Leggi l'informativa sulla privacy per saperne di più.