Recensione: "I fantasmi di Portopalo" di Giovanni Maria Bellu

Natale 1996: la morte di 300 clandestini e il silenzio dell’Italia

Non vi sarà sfuggito che a febbraio la Rai ha trasmesso una fiction proprio con questo titolo. Il trailer promozionale mi ha incuriosito e, cercando informazioni, ho scoperto che si basava sul libro inchiesta di Bellu.

è raro che qualcuno vada a deporre un fiore su una tomba senza nome.

copertina i fantasmi di portopalo nuova edizione 2017

Titolo: I fantasmi di Portopalo. Natale 1996: la morte di 300 clandestini e il silenzio dell’Italia
Autore: Giovanni Maria Bellu
Prima edizione: Mondadori - 23 maggio 2006
Pagine: 252
Prezzo: ebook - € 8,99; cartaceo - € 17,50
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È una mattina di fine dicembre o, forse, inizio gennaio, quando un pescatore, Salvatore Lupo, ritrova tra le reti un paio di jeans aggrovigliati. In una tasca c’è una carta di identità.
Il mare è da sempre custode di storie e Lupo teme di sapere a quale storia appartenga quella reliquia. A partire da gennaio 1997, infatti, le reti dei pescatori di Portopalo di Capo Passero (Sicilia) hanno tirato su corpi e successivamente, solo più parti o ossa che, invariabilmente, sono tornate al mare.
Eppure, quella mattina del 2001, Lupo trattiene il documento trovato e per diversi mesi lo nasconde, soprattutto ai propri occhi, in un cassetto. Ma non riesce a dimenticare il volto su quella carta d’identità: appartiene a un ragazzo che avrà all’incirca la stessa età di sua figlia Giusy.

Aveva visto, come fossero una accanto all’altra, la fotografia di Giusy e quella di Anpalagan.

Non può più restare in silenzio. Si rivolge a un amico e tramite lui, la storia raggiunge il giornalista Giovanni Maria Bellu.
La notizia del naufragio del Natale 1996 era stata data con scetticismo: a dispetto della testimonianza di 29 superstiti, le autorità dubitavano che si fosse mai verificato e ne era dimostrazione il fatto che nemmeno un pezzo di legno fosse stato ritrovato.

La lista del governo non si riferiva ai mezzi effettivamente impiegati, ma a tutte le navi che il giorno del naufragio incrociavano nel Canale di Sicilia. Ecco perché erano stati inseriti anche i «pescherecci costieri». E meno male che era inverno, perché se no ci avrebbero messo anche i windsurf.

Bellu, che nel 2001 non ha che vaghi ricordi della più grande strage che il Mediterraneo avesse visto dalla fine della Seconda guerra mondiale, svolge una ricerca preliminare negli archivi del suo giornale e anche nella scarsità del materiale comprende non ci possono essere dubbi: quel naufragio c’era stato.

Altro che «naufragio fantasma», c’era persino un processo in corso.

copertina i fantasmi di portopalo prima edizione 2006

C’è ritrosia nel raccontare, c’è il desiderio fortissimo di dimenticare, eppure Bellu non riesce a lasciare i morti alla “pace” del mare e inizia a indagare con discrezione, raccogliendo le storie quasi bisbigliate dei pescatori di Portopalo, radunando le prove e le testimonianze. La relativa facilità con la quale riesce a ricostruire il viaggio di Anpalagan (e del fratello), da Jaffna in India fino a quella notte di dicembre, è sorprendente davanti all’arrendevolezza e alle smentite delle autorità.
Al lettore Bellu racconta le fasi della sua ricerca, ma il suo pensiero è costantemente rivolto ad Anpalagan: era a lui che pensava mentre cercava di riempire i silenzi ed è a lui che pensa quando si sofferma a spiegare certe particolari consuetudini della burocrazia o della politica italiana e internazionale. Ieri come oggi, infatti, il controllo dei confini italiani era considerato un grosso problema proprio in seno a quell’Europa unita che si fonda sul principio della libertà e riconosce in ciascun uomo un centro autonomo di vita e non un mero strumento altrui. Eppure, potrebbe essere stato il sogno di essere ammessa all’accordo di Schengen a spingere l’Italia a volgere le spalle alla tragedia, lasciando che l’omertà trovasse una (discutibile) giustificazione.
Nella sua caparbia ricerca della verità Bellu mette insieme i numeri delle persone, vittime e carnefici, coinvolte in una tratta umana che la mente rifiuta di immaginare e che, pure, non è più un mistero. Se da una parte si impegna per dare un volto ai migranti e per spiegare le ragioni che spesso spingono un intero villaggio a investire sui giovani più promettenti affinché raggiungano l’Europa, dall’altra il giornalista cerca di dare spazio anche ai faccendieri coinvolti nell’organizzazione dei viaggi. Emerge così una rete di corruzione e compiacenza che nausea.

«[…] M’ha avvicinato e m’ha detto: sembri un uomo coraggioso, vuoi lavorare con noi? Era il 1991. Da allora non ho fatto altro che vedere poliziotti intascare denaro, e ho caricato e scaricato clandestini sempre sotto gli occhi delle polizie di tutti i paesi del Mediterraneo.»

Nonostante l’evidente impronta giornalistica, che a mio avviso dà un sapore leggermente forzato ad alcune descrizioni, la lettura è resa più accattivante dai numerosi aneddoti e dalle brevi storie che approfondiscono contesti geografici e storici. Li ho apprezzati molto e trovo che accrescano il valore e il contributo offerti dal libro.
Pochi hanno ricordi diretti del naufragio fantasma, eppure l’importanza di conoscere e ricordare è più che mai pressante. Proprio in giorni in cui i barconi che si rovesciano in mare e gli sbarchi non fanno più notizia e, al contrario, suscitano sentimenti controversi, è fondamentale sforzarsi di capire. È vitale desiderare di essere informati ed è umano dare voce, giustizia e memoria a coloro a cui sono state negate.

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