Recensione: "Il cielo in gabbia" di Christine Leunens

recensione cielo in gabbia leunens

Dopo un iniziale entusiasmo, a lettura conclusa provo sollievo: da tempo un romanzo non mi esasperava a tal punto da darmi l’impressione di non avere fine. D’altra parte, Il cielo in gabbia mi ha spinto ad avanzare alcune considerazioni sulla narrativa dell’Olocausto e mi ha permesso di scoprire realtà storiche che ignoravo.

copertina il cielo in gabbia christine leunens

Titolo: Il cielo in gabbia (già Come semi d'autunno)
Titolo originale: Caging Skies
Autorə: Christine Leunens
Traduttorə: Maurizia Balmelli
Editore: Società Editrice Milanese - 21 novembre 2019
Prima edizione italiana: Meridiano Zero - novembre 2005
Pagine: 408
Prezzo: cartaceo - € 18,00; ebook - € 9,99
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Il cielo in gabbia abbraccia un arco storico denso di eventi, inaugurati dall’annessione dell’Austria alla Germania nazista e idealmente conclusi dallo sbarco sulla luna.
Nel 1938 Johannes, protagonista e voce narrante, ha dieci anni e assiste al discorso di Hitler in Heldenplatz. Qualche settimana dopo scopre che quell’uomo, che aveva incantato la folla urlando a pieni polmoni, il Führer, affidava ai bambini come lui una missione importante: salvare il futuro della razza.
L’entusiasmo di Johannes, che ha già imparato molto dalle nuove materie scolastiche, cresce con l’ingresso nella Gioventù hitleriana: non vede l’ora di dimostrare il suo valore e anno dopo anno si impegna per poter dimostrare la propria superiorità.
Quando iniziano i bombardamenti non ha il senso del pericolo e così va incontro all’incidente che lo sfigura, costringendolo a una lunga convalescenza. Costretto tra le mura domestiche, Johannes scopre che i suoi genitori stanno nascondendo una ragazza ebrea, Elsa.
Questo è l’episodio che segna una cesura tra quelle che per me sono le due anime, inconciliabili, del romanzo.
Le prime pagine sono avvincenti, accurate nella descrizione dell’educazione dei giovani nazisti e dell’addestramento della Gioventù hitleriana. La fede cieca e spontanea con cui Johannes accoglie ogni nuovo insegnamento dà la misura della pervasività dell’ideologia nazista.
Nel complesso Leunens riesce a fornire un quadro storico ricco di sfaccettature, da un lato intessendo dei rapporti familiari compromessi da convinzioni contrastanti e pericolose, dall’altro proponendo spunti di approfondimento.
In particolare è stata una rivelazione, per me, l’esistenza degli Edelweisspiraten, un gruppo di resistenza, formato da disertori della Gioventù hitleriana. La loro storia è, in effetti, poco conosciuta ma è ovvio che farò del mio meglio per documentarmi.
L’autorə non risparmia, inoltre, alcune considerazioni politiche proponendo una coraggiosa riflessione sull’effettiva posizione dell’Austria alla fine della guerra.

Ancora oggi, la responsabilità della guerra ricade interamente sulla Germania.
La verità è che noi eravamo la zampa posteriore della belva, non certo il coniglio che stringeva tra le fauci.
Un’altra barzelletta in circolazione all’epoca: “Perché l’Austria è così forte? Perché fa credere al mondo che Beethoven era austriaco e Hitler tedesco”.

Il mio errore è stato credere che il romanzo di Christine Leunens riguardasse la Seconda Guerra Mondiale, l’ascesa e la caduta del Terzo Reich. Fin dall’incipit è chiaro, invece, che il fulcro del romanzo è la menzogna, ma ugualmente mi è impossibile liberarmi dal fastidio che provo per lo sviluppo della storia.
Sebbene l’autorə riesca a costruire, tassello dopo tassello, la trappola in cui precipita il protagonista e la menzogna costituisca un argomento potenzialmente fecondo di riflessioni, l’impressione che il contesto storico e tragico della persecuzione nazista sia soltanto l’innesco del romanzo mi risulta insopportabile.
In un’intervista Leunens ha spiegato di aver tratto l’ispirazione da una storia vera: una donna francese le aveva raccontato di essersi innamorata dell’ebreo polacco nascosto dalla sua famiglia. La sua immaginazione ha fatto il resto.
Nonostante sia innegabilmente rimasta nelle variabili del possibile, l’ho trovato irrispettoso e indigeribile soprattutto perché sono convinta che non fosse necessario agganciarsi alla Storia.
Nondimeno riconosco che l’autorə abbia fatto un ottimo lavoro nella resa psicologica di Johannes ed Elsa e del loro rapporto di dipendenza abusiva. Anche le sfumature grottesche, la perdita di riferimenti temporali e spaziali assumono una rilevanza funzionale: ə lettorə è costretto a perdersi, a confondere realtà e delirio fino a domandarsi se Elsa sia mai esistita. Eppure, forse complice l’impatto positivo della prima parte, ho spesso pensato che il romanzo si dilungasse inutilmente.
Il cielo in gabbia è una doppia occasione sfumata di scrivere e leggere un rilevante romanzo storico e un romanzo contemporaneo capace di affrontare tematiche, a partire dal rapporto abusivo, attuali e importanti.

Il mio voto

2 specchi


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