Senza nome. Frankenstein, il mostro, la creatura

Approfondimento sul mostro di Frankenstein

Sala di lettura (condivisa)

Siamo arrivati alle battute finale della nostra lettura condivisa e già so che Martha mi mancherà. Senza di lei questa lettura sarebbe stata monca, privata di un confronto sempre profondo e appassionato. La scorsa settimana, su Bookdust Sparkle, Martha ha dedicato alla creatura un approfondimento tanto interessante da spingermi verso altre questioni che la riguardano.

La creatura nata dalla penna di Shelley è senza nome, eppure tutti le associamo un nome: Frankenstein che appartiene al suo creatore e agisce quasi da patronimico, sottolineando la promiscuità che lega i due personaggi al punto da confonderne i ruoli e non esonerare né l’uno né l’altro dalla definizione più prossima a quella di mostro.
La creatura, a ben vedere, non nasce ma prende vita ed è a tal punto ripudiata dal genitore da essere privata di un nome proprio. Frankenstein ha voluto infondergli energia vitale, senza soffermarsi sull'identità e sull'esistenza della sua creatura.
Anche coloro che non hanno letto il romanzo di Shelley sanno attribuire caratteristiche specifiche alla creatura, risultato di stratificazione e assemblamento di immagini che hanno riproposto la storia di Frankenstein. Eppure, spesso, si tratta di trasposizioni infedeli, che hanno dato un volto al mostro laddove Shelley aveva scelto di limitarsi a descriverne il pallore cadaverico e l’aspetto ripugnante.
Nel romanzo la creatura è gigantesca e difforme, ma non è intrinsecamente malvagia né grottesca come la tradizione (cinematografica) ci ha portato a credere rifacendosi, forse, all’archetipo del mostro. Quello di Shelley, infatti, a dispetto della repulsione del suo creatore e dell’atto di superbia che lo ha creato, l’essere nasce innocente e si rivela, capace di bontà, gentilezza ed empatia, ma soprattutto intelligente.
E mentre Frankenstein la appella demone, riconoscendo di essere perseguitato ma senza comprendere che i morsi che sente sono quelli del rimorso, la creatura diventa mostro solo dopo aver accumulato odio irrazionale ed essere stato in tutti i modi respinto.

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La creatura rifiutata si muta così in terrificante agente di distruzione: che con metodo e ostinazione, e con passione addirittura, si dedica all’annientamento del perfetto e felice gruppo familiare del suo autore. Se la famiglia non lo vuole, il neo-nato non potrà che eliminare la famiglia.

Nadia Fusini, Mary Shelley, il dolore, in Nomi. Dieci scritture femminili, Donzelli Editore Roma, 1996

Le trasposizioni, che pure hanno contribuito alla sua fama, hanno ridotto a brandelli la creatura di Shelley per ricostruirla diversa, aggiungendo bulloni che tengano insieme le parti e cicatrici, rendendolo incapace di esprimersi e riducendone la capacità di pensiero. Probabilmente è meno spaventoso un essere di questo tipo che quello descritto dalla scrittrice inglese: la creatura del romanzo sceglie razionalmente la vendetta, la furia, la morte, accettandone tra l’altro il carico di dolore. Ed è, guarda caso, molto più umano per questo di quanto si vorrebbe ammettere: desideroso d’amore, capace di odio.
Il cinema, di contro, ne fa per lo più una creatura incapace di operare una scelta. Agisce perché non può fare altro. È questa una rappresentazione comoda, necessaria che talvolta si accompagna all’annientamento del mostro e alla salvezza dello scienziato.
È rassicurante credere che l’essere sia diverso da noi non solo nell’aspetto, ma anche nell’intelletto perché è questo che ci permette di allontanarlo e di affrontarlo. Eppure, Shelley descriveva una creatura nata (o tornata alla vita) secondo un processo che era ritenuto scientificamente possibile. Il mostro è l’improbabilità, la variabile impossibile.
Mi preme sottolineare ancora le sottili connessioni che esistono tra l’opera di Mary Shelley e la sua vita: si riverberano proprio nella complessità del rapporto tra creatura e creatore. La scrittrice aveva perduto la madre poco dopo essere nata, proprio come la creatura, abbandonata a se stessa. Aveva, poi, respinto il padre che le aveva insegnato i valori in cui credere. Ed era a sua volta madre e creatrice.
Inoltre, si trovò a condividere un destino simile a quello della creatura dello scienziato ginevrino: perse molti suoi affetti fino a rimanere, quasi del tutto, sola.
Il rapporto tra creatore e creatura si esalta anche nella trasformazione della «coppa della vita» in «coppa di morte» perché nella loro esistenza, nel loro rincorrersi vita e morte si intrecciano e l’una alimenta l’altra, e l’una è anche l’altra. Questo aspetto vi sarà più chiaro se leggerete il commento elaborato da Martha per la conclusione del romanzo.
Io spero di essere riuscita a suscitare una riflessione su aspetti forse meno noti della figura del mostro e, poiché mi è impossibile proporre una carrellata completa delle trasposizioni realizzate, vi lascio con la prima pellicola ispirata a Frankenstein. È un cortometraggio di appena tredici minuti che risale al 1910 ed è stato recentemente restaurato.

Amaranth

Commenti

  1. Che bella analisi. Io non ho letto l'opera ma penso di farlo a breve. Credo che farò attenzione all'aspetto senziente e volontarista della creatura che avete messo in luce. Aspetto che, Per quel che ricordo, dagli anni Trenta ad oggi è quasi completamente negato a favore di una visione che punta all'equivalenza, una sorta di "mostro fuori-mostro dentro". Mi sembra che la trasposizione di Branagh, che si proclamava fedele, si scostasse dalle precedenti visioni, riconoscendo alla creatura la capacità di evolversi attraverso l'istruzione. Le attribuiva quindi una sorta di integrabilità nel tessuto sociale. Ma dovrei rivedere pure quello, a essere sinceri.

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    1. Grazie. L'identità della creatura è quasi sempre trascurata nelle trasposizioni o almeno in quelle che ho avuto modo di vedere. Branagh, in effetti, è molto più fedele, anche se si prende alcune libertà rispetto al romanzo: oltre a restituirle complessità, mette in luce l'importanza del rapporto con il creatore. Per questo credo che sia la resa migliore.
      Mi piacerebbe poi conoscere le tue impressioni sul romanzo. Buona lettura ♥

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  2. Questa tematica mi è molto a cuore, ne ho parlato dirante la conferenza "Brutti dentro e Brutti fuori" con Luca Tarenzi, Ailsinn e Julia Sienna. Il mostro abbinato al profiling criminale, di come nasciamo innocenti ma le condizioni ambientali possano mutarci in esseri malvagi. Povera creatura, che impara da Goethe e da Milton il dolore e l'empatia. Bell'articolo e il cortometraggio non la'vevo mai visto, una perla.

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    1. Mi sarebbe piaciuto assistere alla vostra conferenza! Ogni volta che leggo Frankenstein penso a quante cose sarebbero potute andare diversamente per la creatura se non fossero stati soltanto i libri a insegnarle i sentimenti.
      Non si può che essere felici per il corto recuperato: è davvero un bel risultato. Grazie ♥

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