Recensione: "Immigrato" di Salah Methnani e Mario Fortunato

Ho letto una volta che la verità è come la linea dell’orizzonte: si sposta a mano a mano che tu avanzi.

Sono arrivata a questo libro preparando un esame: il titolo, una parola in questi giorni ripetuta al punto da echeggiarne altre, è stato il primo gancio; il secondo è stato l’anno di pubblicazione (nda 1990) che mi ha fatto sperare nella possibilità di inserire il fenomeno in una prospettiva storico-sociale più ricca. In realtà, non è semplice tracciare una sola linea che conduca dalla migrazione degli anni Novanta a quella odierna né, in fondo, è possibile farlo in seguito a una sola lettura.
Immigrato è la testimonianza di un viaggio di privazione (dell’identità, prima di tutto) attraverso l’Italia, nato dalla più genuina delle pulsioni umane: la curiosità, la sete di scoprire il mondo.

copertina Immigrato Salah Methnani Mario Fortunato

Titolo: Immigrato
Autori: Salah Methnani e Mario Fortunato
Prima edizione: Theoria - settembre 1990
Nuova edizione: Bompiani - 30 agosto 2006
Pagine: 130
Prezzo: cartaceo - € 6,80
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Salah è tunisino ed è laureato in Lingue. Come tanti dei suoi amici, è cresciuto con il mito dell’Occidente individuato nell’Italia dei jeans Carrera o Levi’s, nei numeri ripetutegli dal padre quando era un bambino. Due parole rendevano davvero luminoso l’Occidente: il lavoro, la libertà.

Erano i primi di ottobre. Mi domandavo: «Sto partendo come un emigrante nordafricano o come un qualsiasi ragazzo che vuole conoscere il mondo?». Quel giorno, non sapevo rispondermi.

Settecentomila lire in tasca, una borsa con due paia di jeans, un pullover e qualche camicia sono tutto ciò che Salah ha con sé quando sbarca a Mazzara del Vallo, Sicilia. Il primo impatto con l’Italia, l’intolleranza, la violenza, la clandestinità lo disorienta, lo spiazza e lo lascia solo, nell’impossibilità di trovare un lavoro e con volti amichi e volti indifferenti a sostituirsi alle sue speranze.

Per un attimo, tutte le immagini dorate dell’Italia e dell’Occidente sembrano scollarsi dalla mia testa: le vedo galleggiare nell’aria come cartacce trasportate dal vento, si alzano, verso il cielo distante. Dico: «Qui c’è più libertà». Pronunciò queste parole come un proclama. Mi sforzo di non avere dubbi. Mi verrebbe quasi voglia di sollevare le braccia per riacciuffare nell’aria le mie fantasie sull’Italia.

Persone e storie che aumentano e si confondono con l’aumentare delle città toccate dal suo viaggio attraverso l’Italia, nella ricerca di un lavoro e, forse, di un posto in un mondo che raramente gli riserva un sorriso e sempre più spesso, se non lo respinge, non riesce a vederlo.
Immigrato è un libro sottile come il quadernino giallo che Salah porta con sé nel tentativo di fissare i ricordi, i nomi e le facce prima che si perda nella nuova informe realtà cui il protagonista scopre di appartenere. Sottesa alla necessità di un lavoro, emerge la ricerca di un’identità perduta.
L’opera di Methnani e Fortunato è un romanzo inchiesta che non eccelle per lo stile, ma rimane formalmente corretto, scorrevole nella lettura e prevedibile nel succedersi degli eventi, probabilmente perché non racconta una realtà che ci è davvero estranea.
Una piccola pecca sono, forse, i salti temporali che, nella conclusione, portano dall’Italia in Tunisia e troncano la consequenzialità narrativa lasciando il lettore insoddisfatto. Pur non potendo negare di aver letto racconti che per certi aspetti mi sono sembrati più incisivi, Immigrato ha un indubbio valore di testimonianza nel raccontare un’Italia vagheggiata e privata del velo che la rendeva luminosa e nell’indagare un fenomeno che non ha radici e tempo. Al termine della lettura ho trovato rinnovato il mio desiderio di conoscere più storie, di approfondire e capire.

«Molti immigrati non clandestini», dice, «hanno trovato sistemazione nelle case del Comune. Ma moltissimi milanesi hanno protestato: il problema è anche loro. Sta diventando una guerra fra poveri». È vero, purtroppo. È proprio questa l’immagine che, in maniera inconsapevole, confusa, mi sono fatto delle contraddizioni e dei conflitti fra noi immigrati e gli italiani. Questo non è un Paese veramente razzista, mi dico. È un Paese sbagliato. La ricchezza c’è, ma non è distribuita bene. Basta andare in autobus dal centro di Milano fino a Lambrate: il ricco Occidente si tramuta di colpo in un territorio cupo e desolato. Non è più Occidente.

Il mio voto

3 specchi


Amaranth

Commenti

  1. Questo è uno di quei casi dove mi interessa il tema, ma non particolarmente il libro. C'è da dire, però, che costa molto poco e potrebbe essere una lettura molto interessante comunque.

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    1. Ammetto che dal punto di vista letterario non è un'opera che esalterei, ma credo che sia interessante per il tema che sicuramente rimane da approfondire anche con altre letture.

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