Scontro tra fiere

Quando la competizione aiuta la cultura

Cos’è la cultura?
Domanda tutt’altro che oziosa considerato quanto se ne è parlato ultimamente in relazione alla Guerra del Libro tra Torino e Milano.
Cosa vuol dire cercare di promuovere la lettura in un paese dove un terzo della popolazione non apre nemmeno un libro all’anno?
Cosa vuol dire amare i libri?

Negli ultimi mesi sono fioccati articoli sulla fatidica rottura tra l’Aie e l’organizzazione del Salone di Torino che ha portato alla nascita di Tempo di Libri e mi è toccato leggere più volte che tutto ciò veniva fatto per i lettori, per amore dei libri e della cultura. Perché in Italia si legge sempre meno e bisogna fare qualcosa. La soluzione per un fiume che va inaridendosi è stata quindi quella di tentare di costruire una diga a monte. Idea brillante.





Cos’è dunque la cultura? Cosa sono i libri?
Se sono un prodotto commerciale da vendere allora Milano è stata un flop colossale. Perché se parliamo di numeri, come i prodotti commerciali ci impongono di fare per stabilirne il successo, allora Tempo di Libri ha raschiato il fondo e l’ha fatto soffrendo.
«Ho votato per fare la fiera a Milano. sono andato a Rho col mio stand, non sono venuto a Torino: e ora mi mangio le mani». (Alberto Gaffi)
Ma davvero vogliamo ridurre la cultura a una mera conta di numeri? Anche se sono numeri a sei cifre come 165.746 ingressi al Salone di Torino (contro i 73.000 di Milano)? Certo che no. In fondo si potrebbe dire che Tempo di Libri era alla prima edizione, mentre Torino aveva dalla sua trenta anni di esperienza: chiaro che i numeri non siano confrontabili. Non diremo quindi che la prima edizione del Salone del libro aveva contato, comunque, 100.000 ingressi. Sarebbe infierire troppo.
“Non fate le guerre numeriche tra poveri” dice gente molto più saggia di me. E ha ragione. Anche perché è abbastanza evidente chi ne uscirebbe demolito.

Se vogliamo invece considerare la cultura dal punto di vista di passione, vitalità, innovazione e capacità di coinvolgere il pubblico, allora sì, dobbiamo riconfermare quello che i numeri ci hanno già anticipato: anche qui il Salone ha saputo distinguersi e riconfermare la propria autorevolezza nel settore. Vogliamo parlare di Daniel Pennac? La sua conferenza sulla traduzione valeva da sola l’intero biglietto e l’ora di coda per accaparrarsi un posto.
Sì, il SalTo non è stato perfetto: troppi incontri sovrapposti tra cui bisognava scegliere, sgomitare per arrivare prima che le porte si chiudessero sui troppi lettori in fila. Troppo da vedere e la folla tra cui dribblare per assicurarsi una copia autografata di quell’autore coreano che non vedrai mai più in vita tua.
Ne è valsa la pena.
E qui un grazie va a Milano. Sì, grazie di cuore. Grazie per aver risvegliato quella sana competizione che porta a dare il meglio di sé per proteggere una tradizione di ormai trent’anni di vita. Senza Tempo di Libri forse il SalTo non sarebbe stato così bello.
Ora sarebbe il caso di lasciare perdere le date di maggio e, se proprio Milano vuole avere la sua fiera del libro, per amore della cultura e dei libri, certo, sarebbe il caso di avere la decenza di scegliere almeno altre date.



Non dimentichiamo, infatti, che Tempo di Libri è nata dal tentativo di portare il Salone a Milano. Con il pretesto degli scandali scoppiati nell’organizzazione del SalTo, l’Aie (in particolare le grandi CE che ne facevano parte) aveva votato per portare l’evento su suolo milanese: con i suoi spazi meno costosi, presunto obiettivo di internazionalizzazione dell’editoria italiana e rispetto per i lettori aveva giustificato quello che è stato già definito da molti un tentativo di scippo fallito. Quando Torino si oppose il risultato fu la creazione di una nuova fiera, a meno di un’ora di treno da quella già esistente e a un mese di distanza. Non serve essere esperti di marketing per rendersi conto che il paradigma “più fiere più libri per tutti” non solo non funziona, ma è di un’ingenuità disarmante.
“Crediamo sia sbagliato voler contrapporre a una grande fiera italiana un evento concorrenziale laddove invece bisognerebbe moltiplicare, e non dividere, le occasioni di avvicinamento alla lettura, che è tra i fini statutari dell’associazione: quindi ben venga un’altra fiera ma perché in concorrenza e negli stessi giorni?”, comunicato stampa Lindau.
Dalle dichiarazioni del presidente dell’Aie Federico Motta, parrebbe che la primavera sia l’unico periodo possibile per l’organizzazione di una fiera del libro a Milano. Curioso che, su dodici mesi, l’unica scelta possibile sia proprio maggio. A quanto pare i libri si leggono (e si vendono) solo quando spuntano i primi zucchini. Si vede, però, che nessuno l’ha detto alle altre fiere come quella di Palermo, a giugno, o quella di Roma della piccola e media editoria a dicembre.
Meglio dunque scegliere date ravvicinate in un bacino ridotto come quello tra Piemonte e Lombardia e sulle note di “volemose bene” stupirci poi del perché entrambe le fiere – o forse solo una in questo caso? – ne risentano.



Sappiamo ora perché sono mancate le grandi case editrici e dunque la domanda è d’obbligo: se ne è sentita la mancanza?
In tutta onestà no.
C’è chi si è lamentato che la mancanza di marchi come la Mondadori abbia falsato la rappresentazione di quello che è il mercato editoriale italiano e io dico: meno male!
La mancanza degli enormi stand delle big che nelle precedenti edizioni finivano per rubare spazio e tempo, offrendo peraltro nulla più di quanto si potesse trovare in una qualsivoglia libreria, ha invece fatto risaltare la ricchezza di tutte quelle piccole e medie case editrici che hanno saputo offrire un ricchissimo ventaglio di proposte originali e innovative.

Fanno sorridere i commenti di molti che si sono stupiti della mancanza di Mondadori e simili e che se ne sono chiesti indignati il motivo. Vorrei chiedere loro: lo sapete che è stata una scelta delle CE? Sapete che sono loro che hanno disertato il Salone? Ma, soprattutto, perché venire fino al Salone per comprare i loro libri quando su Amazon trovereste lo stesso identico libro col 15% di sconto fisso?
Sono sinceramente curiosa di saperlo perché ho avuto l’impressione che molti abbiano preso il Salone, e di conseguenza anche Tempo di Libri, come una sorta di grande supermercato del libro, un’alternativa al negozietto di quartiere per fare la spesa in modo da trovare tutto più in fretta, in un unico posto, senza la scocciatura di dover passare da panetteria, macelleria e fruttivendolo in tre posti diversi.
Scaffali lucidi, prezzi ben in vista, magari qualche sconto sulla quantità e un carrellino trasformato in morbide borse di stoffa che alcune CE regalavano insieme agli acquisti: ecco cosa hanno pensato del Salone molti di quelli che hanno lasciato commenti sdegnati sull’assenza di Mondadori&Co.
Lasciatemi dire che, se davvero la pensate così, con questo Salone vi siete persi una grande occasione. Se davvero le vostre critiche al Salone riguardano le code ai punti ristoro, la mancanza di panchine o l’aria condizionata e non avete speso nemmeno una parola per i meravigliosi stand sulla scienza o la riproduzione del torchio tipografico, allora avete forse mancato il punto centrale di tutto il Salone. Se non avete nemmeno provato a mettervi in fila per ascoltare Pennac in una delle tre, e ripeto TRE, conferenze che ha fatto, avete perso l’opportunità di essere ammaliati dai suoi discorsi coinvolgenti e riscoprirvi di nuovo bambini in attesa di una storia della buona notte da ascoltare prima di chiudere gli occhi. Se non avete neanche dato un’occhiata allo spazio Babel, coi suoi autori provenienti da ogni parte del mondo con le loro voci e sguardi diversi sulla realtà che viviamo, avete perso la possibilità di essere davvero portati in luoghi lontani, con persone e personaggi che magari non avrete più occasione di incontrare.

Perché cos’è la cultura se non questo? Avere gli strumenti per leggere il mondo, per quanto complicato possa diventare, avere la capacità di mettersi al posto dell’altro, vivere la sua vita attraverso le parole di quell’autore che è tanto più prezioso quanto il suo sguardo è diverso dal vostro; scoprire nuovi mondi ma soprattutto cercare di comprenderli e magari sì, anche divertirsi nel farlo. Cos’è la cultura se non scoperta e analisi? E i libri sono il mezzo migliore per farlo. I libri nella loro varietà, non solo quelli delle grandi case editrici, ma soprattutto gli altri, quelli che raccolgono sensibilità e sfumature che spesso vengono meno nel mercato editoriale.
I supermercati sono comodi, ma non fanno cultura. Il Salone del Libro l’ha fatta e in modo mirabile.

Alaisse

Commenti

  1. Cara Alaisse,
    mi trovi d'accordo con tutto quello che hai scritto, in particolare sul fatto che la mancanza di certe case editrici, abbia fatto risaltare le proposte innovative di altre realtà.
    Senza nulla togliere alle big, che sfornano tanti successi, amo maggiormente altre case editrici che creano qualcosa di unico e originale, con una maggiore sensibilità ed etica.
    Quando vado ad una fiera culturale mi aspetto di tornare a casa carica di idee, di esperienze, di mondi con cui sono venuta a contatto e non di libri che posso comprare anche sotto casa.
    Amazon, il supermercato, le librerie di catena..sono posti in cui comprare libri, ma non aggiungono nulla di più e a me manca lo spazio di condivisione delle idee..la riflessione, il confronto..
    Mi è dispiaciuto molto che la Fiera di Milano abbia deciso di porsi in concorrenza a quella di Torino, sopratutto come tempistiche..se fossero in periodi diversi dell'anno, si potrebbe partecipare felicemente ad entrambe, invece così ravvicinate, i lavoratori finiscono per chiedere le ferie solo per un'occasione e naturalmente scelgono Torino, mentre quelli come me che non riescono a prendersi per niente le ferie a maggio rimangono fregati del tutto sigh..invidia...volevo andare agli incontri di Pennac e di Marco Rossari..

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    Risposte
    1. Sono d'accordo con te: se solo avessero scelto altre date, non ci sarebbero stati grossi problemi. Ci sarebbe spazio per tutti se le cose fossero fatte con un minimo di buon senso e non per fini economici o di prestigio.
      Per quanto riguarda le grandi CE ne ho già parlato nel post e posso solo riconfermare che lo scopo di una fiera come quella di Torino non è comprare/vendere libri che si possono trovare ovunque, ma arricchirsi e scoprire cose che normalmente non si vedono in libreria. Penso che a molti ancora sfugga questo aspetto e non mi stancherò mai di ripeterlo.
      Grazie del commento e spero che al prossimo Salone tu possa partecipare a tutti gli incontri che vuoi <3

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