Per quanto importante si possa considerare la lettura dei classici, a spingermi verso il capolavoro di Buzzati sono state alcune recensioni illustri. Tra gli altri, Vittore Branca, Alberico Sala e, forse più noto, Italo Calvino lessero Il deserto dei Tartari e vi trovarono persino conforto.
Desideravo comprendere quale sollievo, quale speranza potesse dare un romanzo di cui abitualmente si dice che nulla vi accade.
Solo la guerra porta al massimo di tensione tutte le energie umane
e imprime un sigillo di nobiltà ai popoli che hanno la virtù di affrontarla.
Giovanni Gentile e Benito Mussolini, La dottrina del fascismo, 1932
Titolo: Il deserto dei Tartari
Autore: Dino Buzzati
Prima edizione: Longanesi - 1940
Pagine: 221
Prezzo: cartaceo - € 12,00; ebook - € 7,99
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Tutti i giorni precedenti erano stati spesi per quel momento: Drogo è finalmente ufficiale e presterà servizio alla Fortezza Bastiani, che vigila sul confine settentrionale del Paese. La prima impressione non entusiasma Drogo che, appena arrivato, vorrebbe ripartire, eppure a poco a poco la frenesia per il futuro, la speranza di un avvenire glorioso, che lo avevano spronato all’Accademia, si ridestano in lui.
E allora c’è da tenere d’occhio il confine che le nebbie rendono incerto e le luci che si muovono nella notte scura del deserto, in attesa dell’invasione e della guerra che gli porteranno la gloria.
Affermare che nel Deserto dei Tartari nulla accade è un’efficace semplificazione che, però, non mi convince più. Al di là degli episodi apparentemente insignificanti che spezzano la narrazione, anche allontanandosi dal protagonista, nel romanzo si concretizza qualcosa che siamo abituati a concepire in astratto: lo scorrere del tempo.
Il lettore, che, al pari di Drogo, è reso incosciente del susseguirsi delle stagioni, è invitato invece a percepirlo, a rifletterci e a osservarlo.
Né adagio né presto altri tre mesi erano passati.
Il Tempo è una delle tematiche portanti del romanzo, forse la più evidente in un testo fortemente allegorico e la più analizzata dagli studiosi. I giorni alla Fortezza si susseguono l’uno uguale all’altro, tanto da annullarsi a vicenda: soltanto le osservazioni sul clima o sulla neve, che sciogliendosi lascia il posto alla nuova vegetazione, rivelano che il nuovo capitolo si apre su una nuova stagione e che il sole non è tramontato e sorto una sola volta, ma che sono passati dei mesi.
D’altra parte Drogo, e come lui molti altri che prestano servizio alla Fortezza, non può fare altro che aspettare: andarsene proprio in quel frangente potrebbe voler dire perdere l’occasione della vita.
L’esistenza di Drogo invece si era come fermata.
La stessa giornata, con le identiche cose, si era ripetuta centinaia di volte
senza fare un passo innanzi.
La Fortezza diventa odiosa prigione che, fuori dal mondo e dal tempo, divora e distrugge il presente, ma è anche fonte di una rassicurante certezza, pur nell’alienazione della consuetudine, e soprattutto la sua apparente eternità infonde speranza.
In questo futuro, che per sua stessa definizione è incapace di divenire fattuale, si innesca l’annichilimento dell’uomo che rimane immobile in un’attesa senza fine, mentre il tempo gli sottrae i giorni buoni e ne rivela l’inettitudine.
Sembra un romanzo sfibrante, non è così? Eppure Il Deserto dei Tartari non segna una resa a un destino inevitabile, all’impietosità del tempo; invece e antiteticamente all’atmosfera narrativa, si realizza proprio nell’azione.
Se volete saperla tutta, più dello sprone sotteso alla narrazione allegorica, mi ha entusiasmato lo stile semplice, preciso e straordinariamente evocativo di Buzzati. In particolare, mi hanno colpito le descrizioni così puntuali e materiche dei sentimenti e delle percezioni umane, per le quali, credo, valga la pena superare il timore che può suscitare un classico di questa portata.
Se negli anni Quaranta e ancora oggi giovani e meno giovani possono entrare in empatia con Drogo, è perché spesso ci si scopre in attesa del deus ex machina che cambierà la nostra vita e rivelerà al mondo il nostro valore. E il romanzo di Buzzati fa a pezzi la divinità, distrugge Godot.
«Arrivederci, tenente. Ma non ci pensi; un paesaggio che non val niente, le garantisco, un paesaggio stupidissimo.»
Il mio voto
4 specchi
Non ho ancora letto questo classico della letteratura italiana, e fino a questo momento non ho neanche provato il particolare desiderio di farlo... ora, invece, ho voglia di andare a prenderlo dalla libreria di mia madre.
RispondiEliminaMi fa piacere sapere di averti incuriosita: spero che mi racconterai com'è andata la lettura!
EliminaCiao Amaranth! ♥ Di Buzzati avevo letto La boutique del mistero che non avevo apprezzato molto ma questo romanzo invece mi ha sempre ispirato così tanto avendo come fulcro il tema del tempo... la tua recensione ovviamente aiuta :)
RispondiEliminaCiao! Ammetto che per me la produzione di Buzzati è tutta da scoprire, ma mi sono fatta l'idea che "La boutique del mistero" appartenga un genere narrativo un po' diverso... A me "Il deserto dei Tartari" ha dato molto e sono felice di averlo riportato alla tua attenzione: spero sia una lettura significativa anche per te! ^_^
EliminaGrreat post thank you
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