Recensione: "Il canto di Penelope. Il Mito del Ritorno di Odisseo" di Margaret Atwood

Margaret Atwood

Per vent’anni le mie preghiere non sono state esaudite, ma quel giorno avevo appena celebrato il solito rito e mi ero asciugata le solite lacrime, quando Odisseo entrò nel cortile trascinando i piedi.

copertina Il canto di Penelope

Titolo: Il canto di Penelope. Il Mito del Ritorno di Odisseo.
Titolo originale: The Penelopiad: The Myth of Penelope and Odysseus
Autore: Margaret Atwood
Traduttore: Margherita Crepax
Prima edizione italiana: Rizzoli - ottobre 2005
Prima edizione: Canongate U.S. - 5 ottobre 2005
Pagine: 153
Prezzo: cartaceo - € 13,50; ebook - € 7,99
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Odisseo. Brillante, arguto, intrigante. Famoso per le sue qualità al punto da superare il confine delle pagine omeriche. La sua insaziabile curiosità, la stessa che gli ha permesso di trovare spazio nella Commedia dantesca, è un carattere ben noto anche nella tradizione cinematografica e ad essa e a qualche divinità avversa sono da attribuire gli anni che tennero Odisseo lontano dall’amata e impervia Itaca.
Negli anni della guerra di Troia e del nostos, Odisseo aveva lasciato molto più di un regno: a Itaca viveva, infatti, Penelope, giovane sposa e madre dell’adorato Telemaco.
La tradizione, si avvince anche da come spontaneamente mi viene da raccontare la vicenda, ha voluto mostrarci la storia di una famiglia divisa dal Fato, ma legata da un amore profondo la cui colonna portante è Penelope, la donna virtuosa e fedele, della quale si ricorda l’intelligenza che le permise di elaborare lo stratagemma del celebre telo.
È qui che interviene Atwood, riprendendo le fila della versione più conosciuta e intrecciandola alle versioni rimaste impolverate.

Anche una bugia evidente riesce a consolare chi non ha altro.

Atwood procede per gradi, concentrandosi sull’obiettivo di dare luce non a Odisseo o a Penelope, ma alle dodici ancelle che, accanto alla loro Signora, convissero e affrontarono i Proci molto prima e molto più a lungo di quanto non fece il legittimo sovrano.
Nell’introduzione al libro l’autrice rivela il turbamento suscitatole dai versi dell’Odissea che descrivono l’impiccagione delle ancelle. La loro colpa è quella di aver giaciuto con i Proci, forse confabulando con loro perché potessero sedere sul trono di Itaca.
Leggendo l’Odissea, quasi viene spontaneo esprimere una condanna per la loro condotta, ma Atwood non si accontenta della superficie rilevando nel racconto qualcosa di comune ai nostri tempi che, invece, dovrebbero contare su un’evoluzione dei costumi. Ricostruendone la storia, a partire dai traumi infantili e dalla giovinezza vissuta all’ombra della bellissima cugina Elena, l’autrice dà spazio alle debolezze della saggia Penelope e fa del suo racconto quasi un romanzo di evoluzione, nel quale una donna è costretta (e riesce) a imparare la gestione di una reggia, persino nei suoi aspetti più scabrosi.
È solo così che Penelope poté preservare intatta la fortuna del regno. Non era semplice, tuttavia, opporsi all’insistenza dei corteggiatori quando questi iniziarono a presentarsi a Itaca. Di certo, la scaltra Penelope non avrebbe potuto, consumandosi di lacrime per il marito disperso, resistere ai Proci senza aiuto.
Furono forse le sue ancelle, quelle dodici giovani e belle che lei crebbe e scelse come compagne, a sostenerla? Nella narrazione sviluppata da Atwood trova spazio anche l’ipotesi di un intrigo orchestrato da Penelope e le sue ancelle per tenere a bada i Proci, ma soprattutto emerge una verità più spiacevole e scomoda.
Le dodici fanciulle erano schiave, considerate alla stregua di una sedia o un vaso di vino di cui godere. Non potevano respingere gli assalti dei Proci perché era consuetudine che le ancelle venissero offerte quale svago notturno all’ospite.
A dispetto della brevità, Il canto di Penelope è una storia ricca di spunti e, sebbene non trovino tutti uno sviluppo soddisfacente, realizzano una sorta di prisma attraverso cui cogliere percorsi e prospettive lasciate in ombra.
L’attualità della narrazione è una freccia che è stata ben incoccata e che aiuta a riflettere sulla costruzione dell’essere femminile nella società, a partire dalle aspettative di cui è sommersa una donna fin dalla più tenera età per giungere alle colpe che le vengono attribuite pur appartenendo ad altri.
Il canto di Penelope ha il pregio di unire a un’indagine filologica e sociologica, una struttura narrativa interessante che riecheggia il poema epico e strizza l’occhio ai drammi teatrali. Atwood smantella l’immagine dell’eroe le cui azioni sono sempre da ammirare anche quando spregevoli, insinua il dubbio di un’infedeltà al reale della tradizione e ci permette, attraverso la satira, di conoscere una Penelope diversa dalla sposa devota impedendoci, però, di condannarla.

Una storia a cui credere. Ma a tutte le sue storie si poteva credere.

A ragione questo libro è Il canto di Penelope, ma non è solo a lei che l’autrice vuole dare voce con questo nuovo poema. C’è il coro delle dodici ancelle che, pur in secondo piano, ha il compito di portare uno sguardo nuovo e di sollevare dubbi e veli.
Credo sia giusto osservare che, a dispetto della sprezzante ironia e degli affondi della penna di Atwood, Il canto di Penelope conserva una certa lievità. La lettura è rapida e priva di inciampi.
Nuove prospettive, anche sulle fonti disponibili (da leggersi anche la nota conclusiva), vengono aperte dalla Penelopiade. E se sono poche pagine, queste hanno comunque un peso non solo per il valore di scavo, ricostruzione e denuncia dei contenuti, ma anche per la portata letteraria che supera i vincoli di un omaggio ai poemi e al teatro greco per giocare con le soglie di Ade e tempo.

Ehilà, signor Accorto, signor Generoso, signor Divino, signor Giudice! Guardati alle spalle! Siamo qui, ti seguiamo, vicine vicine, vicine come un bacio, vicine come la tua pelle.
Siamo le piccole serve e siamo qui per servirti. A dovere. Non ti lasceremo mai, ti staremo appiccicate come la tua ombra, morbide e tenaci come la colla. Dodici ancelle graziose, tutte in fila.

Il mio voto

4 specchi


Amaranth

Commenti

  1. È grazie a recensioni come questa che non vedo l'ora di leggerlo :D

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  2. Ciao Amaranth 💙
    ma sai che questo libro era uno di quelli proposti come lettura di classe per Inglese?
    Io sono stata una delle poche a votare per questo, facendo quindi parte della minoranza la nostra scelta è poi ricaduta su "Il Buio Oltre la Siepe". Non che mi lamenti, anzi, è davvero molto bello, ma "Il Canto di Penelope" m'ispirava talmente tanto.
    La tua recensione mi è piaciuta moltissimo e devo assolutamente recuperare il libro, necessito di questo approfondimento su Penelope e poi ritengo che la Atwood tratti sempre temi molto interessanti.
    Di suo avevo iniziato "Il Racconto dell'Ancella" che mi stava piacendo, ma non l'ho più terminato. Devo vedere di riprenderlo.
    Termino con una domanda: hai letto altri libri della Atwood? Se sì, quali consiglieresti?

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    1. Ciao, Martha ❤️
      Se riesci ti consiglio di recuperarlo. Purtroppo non ho letto ancora altro della Atwood, ma ho intenzione di rimediare. Così, poi, ci scambieremo i consigli 😉

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