Il ponte d'argilla

Recensione di Il ponte d'argilla di Markus Zusak

Markus Zusak

Amo Zusak e questo è un dato di fatto. È uno di quegli scrittori che usano le parole come un ipnotizzatore di serpenti fa con la musica: i suoi libri vibrano di vita. Tuttavia, ammetto che Il ponte d’argilla non era in programma nell’immediato e, se non fosse stato per Anncleire e la sua read along, non so quando mi sarei decisa a leggerlo.

copertina il ponte d'argilla zusak

Titolo: Il ponte d'argilla
Titolo originale: Bridge of Clay
Autore: Markus Zusak
Traduttore: Chiara Bovarelli
Prima edizione italiana: Frassinelli - 9 ottobre 2018
Pagine: 539
Prezzo: ebook - € 10,20; cartaceo - € 20,00
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Era il tesoro perfetto, senza pirati.

Matthew, il primo dei fratelli Dunbar, ha recuperato la macchina da scrivere che apparteneva alla nonna e che era stata seppellita dal padre accanto al cane e al serpente che lo uccise.
«La vecchia MDS» era (o forse è?) il mezzo giusto per raccontare e plasmare la storia di Clay Dunbar, quarto di cinque fratelli. Clay corre, cercando una sofferenza che allevi il suo dolore. Clay ama le storie e non può raccontare la sua perché non appartiene soltanto a lui e non è il suo compito.
Del ponte, che invece è suo ed è tenuto assieme dalla sua fatica, dal suo dolore, dal sudore e dal sorriso che ha perso, io non voglio parlare: lo fanno già il titolo e la trama nel risvolto, a me sembrerebbe di anticipare davvero troppo.

In principio c’erano un assassino, un mulo e un ragazzo, ma questo non è il principio. È prima.

E prima c’era una ragazzina che viveva con la statua di Stalin in un paese del blocco orientale. La statua di Stalin, il padre, le aveva insegnato a suonare il pianoforte, l’amore per la mitologia greca e un giorno l’aveva fatta fuggire.
In una città lontana un ragazzo scopriva Michelangelo (proprio quello della Cappella Sistina e del David) e si innamorava di una ragazza che da bambina gli aveva distrutto un’astronave.

Ed era accaduto quello che potrebbe accadere con un pianoforte che deve essere consegnato, o nel parcheggio di una scuola, se capite cosa intendo. Potrà sembrare strano, a un giorno quella ragazzina l’avrebbe sposata.

Questo è l’inizio di tutto: ogni singolo evento, con il suo carico di amore, di felicità e dolore, cuori spezzati e lacrime, è necessario per arrivare all’assassino, al mulo e al ragazzo. Matthew li attraversa tutti, consapevole di poter rivelare ogni cosa, persino le emozioni che si muovono all’interno di ciascun istante, e indifferente proprio al bisogno di dover dare al racconto una struttura cronologicamente ordinata.
E poi c’è Zusak, che non rinuncia a indossare le vesti del narratore e del burattinaio: persino le sorti di Matthew sono nelle sue mani, è una sua creatura e piccoli dettagli sembrano volerlo ricordare. D’altra parte, uno dei giochi amati dall’autore è proprio quello di inserire la sua narrazione in un’intersezione che, moltiplicando realtà e finzione e facendosi metascritturale, fa leva sul patto stretto con il lettore.
Nella storia di Clay, infatti, ho ritrovato Zusak e tutto ciò che apprezzo della sua scrittura: l’abilità nel manipolare la prospettiva, l’incantesimo che rende le sue parole potenti ed efficaci nello scolpire la scena, l’orditura complessa del romanzo.
Eppure, devo ammettere di esserne rimasta delusa. Il ponte d’argilla non si legge con facilità a dispetto della suggestione delle parole: è una matrioska che svela le storie dietro la storia, ne evidenzia le svolte impreviste, ma senza proporle con consequenzialità spostandosi tra prima e dopo, presente e passato, oserei dire, con una certa indifferenza verso il lettore. I pezzi si ricompongono agilmente, ma mi è mancato il coinvolgimento emotivo, la sintonia e la curiosità che permettono di rivivere le emozioni.
In quest’ultimo romanzo di Zusak non ho trovato traccia della genialità di Io sono il Messaggero, ma il vero problema è che, qualunque fosse il punto in cui voleva portarmi l’autore, io non ci sono arrivata. Credetemi: non potrei mai bocciare uno che scrive così, ma questa volta qualcosa non ha funzionato e io non riesco a consigliarne la lettura.

E noi?
Noi non possiamo fare niente.
Uno di noi scrive, uno di noi legge.
Non possiamo fare altro, a parte raccontare – io - così che voi vediate.

Il mio voto

2 specchi e mezzo


Amaranth

Commenti

  1. Io sono a metà da non so quanto, non riesco a proseguire e non me ne capacito. Adoro Zusak, ho divorato i suoi libri precedenti, e capirei se questo fosse il suo primo, da cui gli altri si sono evoluti, invece arriva ora, quando dovrebbe essere ancora migliorato, e io non lo riconosco. Poi è un suo diritto, lui avrà scritto il libro che voleva con buona pace dei lettori, ed è anche giusto così, però io sono davvero sgomenta.

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    1. C'è chi apprezzato questo romanzo di Zusak, ma io ho dovuto obbligarmi per arrivare alla fine e speravo che proprio lì avrei trovato l'illuminazione. Questa volta non sono riuscita a comprenderlo e non tenterò di arrivarci rileggendolo.

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