Uomini e topi

Recensione di Uomini e topi di John Steinbeck

John Steinbeck

Mi è sembrato che, negli ultimi anni, complice la nuova traduzione di Furore, Steinbeck abbia conosciuto un nuovo successo o, forse, non si è mai esaurita l’imprescindibilità che lo ha reso un classico. L’impulso a leggere questo autore, però, mi è arrivato banalmente dal manuale di letteratura, in cui è soltanto citato. «Voglio leggerlo» mi sono detta e quello stesso pomeriggio sono andata in biblioteca.

copertina Uomini e topi Steinbeck Mari

Titolo: Uomini e topi
Titolo originale: Of Mice and Men
Autore: John Steinbeck
Traduttore: Michele Mari
Nuova edizione: Bompiani - 27 ottobre 2016
Prima edizione italiana: Bompiani - 1938;
traduzione di Cesare Pavese*

Prima edizione: Covici Friede - 1937
Pagine: 139
Prezzo: brossura - € 12,00; ebook - € 5,99
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George e Lennie viaggiano per il paese, offrendo il proprio lavoro nei ranch e coltivando il sogno di possedere loro stessi un piccolo terreno ed essere finalmente liberi. È raro che i braccianti stagionali viaggino assieme, ma il legame tra George e Lennie, esplicitato dalla reciproca complementarietà, risale a un’infanzia comune che permette al primo di intuire facilmente gli atteggiamenti dell’altro.

«Non c’è niente in tasca,» disse Lennie pronto.
«Lo so che non c’è niente. Adesso è in mano. Che cos’hai in mano che nascondi?»
«Non ho niente, George. Davvero.»
«Via. Da’ qua.»
Lennie tese il pugno chiuso dalla parte opposta a quella dov’era George. «È solamente un topo, George.»


Lennie è un uomo imponente ma goffo e probabilmente affetto da ritardo mentale che lo rende inconsapevole della straordinaria forza di cui è dotato. George, al contrario, è piccolo, ma di mente vivace. Rassegnato a prendersi cura di Lennie, George prova in realtà conforto nella sua compagnia. La vita che i due condividono è, infatti, molto aspra e dura, costellata di fatiche e affanni, mitigati dalla certezza di non essere soli. Sfuggiti all’ennesimo guaio in cui si è cacciato Lennie, i due sono giunti in un nuovo ranch.
Dall’anziano Candy, rimasto menomato ma ancora utile per tenere puliti gli ambienti, a Crooks, il garzone nero con la schiena rotta, che ha diritto a una cuccetta privata nel fienile lontana e isolata dalla baracca degli altri lavoratori, il ranch offre un carosello di sconfitti: uno spaccato sociale crudo, segnato dallo sfruttamento e dalla discriminazione, che culmina nella figura del figlio del padrone, Curley, perennemente impegnato a cercare la sua giovane sposa e pronto ad attaccar briga con i braccianti. D’altro canto, la donna non è mai in casa e girovaga per la tenuta cercando il marito o, come presumono molti e Curley per primo, ben altra compagnia.

copertina uomini topi steinbeck pavese

«Gente come noi, che lavora nei ranches, è la gente più abbandonata del mondo. Non hanno famiglia. Non sono di nessun paese. Arrivano nel ranch e raccolgono la paga, poi vanno in città e gettano via la paga, e l’indomani sono già in cammino alla ricerca di lavoro e d’un altro ranch.
[...]Per noi è diverso. Noi abbiamo un avvenire. Noi abbiamo qualcuno a cui parlare, a cui importa qualcosa di noi. Non ci tocca di sederci all’osteria e gettare via i nostri soldi, solamente perché non c’è un altro posto dove andare. Ma se quegli altri li mettono in prigione, possono crepare perché a nessuno gliene importa. Noi invece è diverso.»


Costretti a lavorare per sopravvivere, a continui spostamenti per allontanarsi dai problemi, George e Lennie potrebbero sembrare più miserabili dei lavoratori del ranch. Eppure, il sogno di un futuro diverso, un piccolo angolo di paradiso in terra, dà loro una luce e una vitalità distintivi. A farli emergere è, però, la purezza dell’amicizia che li unisce.

«Noi invece è diverso! E perché? Perché… perché ci sei tu che pensi a me e ci sono io che penso a te, ecco perché».

È un sentimento che arriva molto prima che ci si possa rendere conto e, forse, è proprio per questo che Uomini e topi mi ha lentamente straziato. Fin dall’inizio, la lettura è accompagnata da un presentimento negativo che Steinbeck infonde ai suoi protagonisti e non manca di suggerire al lettore.
Ho letto Uomini e topi studiando Montale, che fu uno dei suoi traduttori e probabilmente non è un caso che l’analisi delle liriche montaliane mi abbia rimandato alle sensazioni suggerite dal romanzo. Così mi è sembrato di rileggere in prosa il verso montaliano «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo» nelle parole che raccontano il sogno di Lennie e George. Ma non vorrei forzare troppo la mano azzardando un’analisi che correli i due autori, mi limito a condividere l’impressione personalissima che, nel suo romanzo breve, Steinbeck abbia raccontato l’infelicità quale destino, per alcuni, a cui è difficile sottrarsi.
Sebbene la narrazione si adagi per lo più sulla consequenzialità degli eventi, fugaci prolessi e non rare analessi tracciano i contorni di un disastro imminente che travolgerà il sogno. Steinbeck mimetizza le minacce benché queste abbiano già preso forma e sembrino, soprattutto a George, tornare dal passato.
Benché rare, le descrizioni dei luoghi assumono una valenza simbolica che Steinbeck riesce a realizzare mitigando l’asciuttezza della prosa in liricità e, ancora una volta, disseminando la narrazione di sinistri indizi.

Come talvolta avviene, un attimo discese e si librò e durò molto più che un attimo. E il suono tacque e il movimento tacque, per molto molto più che un attimo.

Non sapevo cosa aspettarmi da Steinbeck né da questo romanzo in particolare. Mi ha travolto l’amara dolcezza di Uomini e topi e la precisione nella scelta di parole evocative, in grado di tratteggiare un’allegoria complessa e restituire compiutamente la policromia della realtà.
Uomini e topi è un classico della letteratura americana e ha avuto importanti influenze su quella europea, ma io penso che questo non debba spaventare: pur non avendo ancora approfondito Steinbeck, la facilità e la scorrevolezza della lettura rendono questo romanzo perfetto per chi desidera avvicinarsi all’autore o semplicemente apprezza il realismo disilluso, tragico ed emozionante.

«È una gran bella cosa andare in giro con uno che si conosce,» disse George.

Il mio voto

4 specchi e mezzo


Amaranth

*Ho letto il romanzo nella traduzione di Cesare Pavese.

Commenti

  1. L'ho letto troppi anni fa, ricordo solo che lo trovai bellissimo e struggente.

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  2. Quando ho letto il libro, qualche anno fa, ho trovato il desiderio dei due uomini di fare fortuna ammirevole. Il loro tentativo di accumulare soldi mentre lavorano come braccianti per acquistare un terreno tutto loro sembra quasi irraggiungibile.
    Il fatto che George si trovi intrappolato tra il senso del dovere, per aiutare il suo compagno a sopravvivere, e la possibilità di avere una vita migliore rende il tutto molto malinconico, perchè sentiamo che prima o poi dovrà scegliere quale strada seguire.

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    1. È proprio la combinazione tra il loro desiderio, così umano, così giusto (non è che chiedessero troppo dalla vita), e la trappola, per così dire, che rende questo romanzo tanto struggente.
      È interessante questa idea della scelta di una strada da percorrere: io ho pensato che non si sia trattato di una vera e propria decisione. Qualcosa di inevitabile, piuttosto, ma mi sembra davvero un'interpretazione interessante.

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