Joseph Joffo
Ero in seconda o in terza media quando lessi per la prima volta Un sacchetto di biglie. Mi rimase dentro: più volte nel corso degli anni ho ripensato a questo romanzo e, come mi è successo con altri libri, mi è venuto il desiderio di rileggerlo. Ho colto l’occasione dell’uscita al cinema del film che ne è stato tratto per leggerlo e parlarvene.
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Titolo: Un sacchetto di biglie
Titolo originale: Un sac de billes
Autore: Joseph Joffo
Traduttore: Marina Valente
Prima edizione: Éditions Jean-Claude Lattès - 1973
Prima edizione italiana: BUR - 1977
Pagine: 285
Prezzo: copertina rigida - € 14,00; copertina flessibile - € 11,00
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È stato sufficiente appuntare una stella gialla sulla giacca perché i giochi nel cortile della scuola si trasformassero in insinuazioni e pugni. Può non sembrare significativo, in fondo una zuffa è qualcosa che può succedere tra ragazzi, ma il padre di Joseph e Maurice sa che la stella gialla porterà all’arresto.
Restare a Parigi non è sicuro e i due ragazzi devono partire: raggiungeranno i fratelli maggiori a Mentone, nella Francia libera, e con un po’ di fortuna si ritroveranno anche con i genitori.
Inizia così il viaggio di Joseph e Maurice attraverso la Francia.
Un sacchetto di biglie è un romanzo facile da leggere, forse troppo. Joseph Joffo è adulto: la guerra e la fuga per la Francia sono ricordi lontani quando decide di scrivere la sua storia, ma sceglie di affidare la narrazione alla sua versione più giovane, quel bambino di dieci anni che riusciva a stupirsi del moto del treno e delle strade diverse da quelle in cui è cresciuto.
Protagonista e voce narrante è, infatti, Joseph bambino, ma l’alternarsi di presente e passato rendono evidente la presenza dell’adulto e la dimensione del ricordo. È un’intromissione non sempre controllata, che si perdona senza difficoltà benché spezzi la narrazione.
Si rincorre, e l’autore stesso non può fare a meno di rendersene tristemente conto, la frase «non l’avrei più rivisto». Per il lettore è un brusco scuotimento che lo allontana dai momenti di felicità e spensieratezza che, nonostante tutto, Jo e suo fratello Maurice riescono a vivere.
Un sacchetto di biglie potrebbe sembrare davvero un romanzo di avventura, in cui i due giovani protagonisti dimostrano la prontezza di spirito necessaria a sopravvivere, ma gli agguati, le trappole e gli arresti a cui riescono a scampare sono stati angosciosamente reali. Nell’orrore il romanzo riesce a restituire la fiducia negli altri, ricordando i sorrisi e gli sguardi tristi, gli aiuti fortuiti e inaspettati, forse non sempre consapevoli, che hanno permesso a Joseph Joffo di raccontare la sua storia.
Cresciuto, indurito, cambiato… Forse anche il cuore si è abituato, si è rodato alle catastrofi, forse è diventato incapace di provar un dolore profondo… Il bambino che ero diciotto mesi fa, quel bambino sperduto nel metrò, nel treno che lo portava a Dax, so che non è più lo stesso di oggi, che si è perduto per sempre in un bosco, su una strada provenzale, nei corridoi di un albergo di Nizza, si è sbriciolato un po’ ogni giorno di fuga.
La persecuzione nazista, feroce e svuotata di ogni logica benché meticolosamente inquadrata, ha privato Jo dell’infanzia, del tempo di giocare e vincere un sacchetto di biglie, ma io credo che Joseph non abbia davvero perso quello sguardo sulla realtà e sulla vita che si può avere a dieci anni.
Forse non è nient’altro che una speranza personale, sorta dall’aver trovato, nella narrazione, soprattutto la voce di un bambino. Rimangono, tuttavia, la leggerezza e la spontaneità di un romanzo alla portata di tutti, consigliato ai più giovani ma anche agli adulti.
Forse ho creduto, fino ad ora, di uscire indenne da questa guerra, ed è forse questo l’errore. Non mi hanno preso la vita, forse hanno fatto di peggio, mi rubano la mia infanzia, hanno ucciso in me il bambino che potevo essere…
Il mio voto
4 specchi
Amaranth
p.s. Ho espresso un voto, ma ritengo che sia privo di valore rispetto alla testimonianza e allo sprone alla riflessione offerti da questo libro.
Ho visto il trailer del film, ma non sapevo che fosse tratto da un libro. Sembra una lettura quasi obbligata, soprattutto per i lettori più giovani e ora che coloro che possono raccontare gli orrori nazisti perché li hanno vissuti stanno scomparendo.
RispondiEliminaNon esiterei nell'incoraggiare a leggere questo libro proprio perché ha una forma che nel complesso risulta più semplice e vicina a un lettore giovane.
EliminaSì, credo che sia una lettura obbligata, questa come altre, sia per la necessità della testimonianza sia per la portata attualissima delle riflessioni che ne possono scaturire.