«Leggere libri è una bella perdita di tempo»
Ho realizzato uno dei miei sogni: incontrare Erri De Luca. Non gli ho parlato, è vero, ma lo ha fatto lui rivolgendosi al pubblico raccolto all’interno di San Filippo Neri a Torino. L’emozione e il valore, che l’occasione ha avuto per me, rendono difficile la scelta delle parole; la tentazione è continuare a ripetere: «è stato meraviglioso». Mi sono, tuttavia, imposta la sfida di raccontarvi l’incontro: non sarà semplice, ma spero di riuscire nell’intento.
Non è la prima volta che sento De Luca affermare di avere scarsa inventiva: nei suoi libri racconta le storie che altri gli hanno confidato, che la vita gli ha consegnato. A volte un libro è proprio questo: una minima parte presa al flusso continuo della vita. «Scrivere una storia, per me, non significa scrivere il capolavoro, significa far sì che il lettore senta che quella storia lo riguarda».
Per Erri De Luca c’è una soluzione di continuità tra l’attività di scrittore e l’esperienza di lettore. Da lettore, infatti, cerca un libro che lo riguardi.
Un libro di questo tipo, spiega, è il libro che, alla fine di una giornata di lavoro, ti fa dimenticare ogni cosa. È così giusto che ti fa scordare la schiena, la fatica, la sveglia del mattino. Ti fa scordare pure dove ti trovi e ti fa saltare la fermata dove devi scendere. «Ecco, quel libro mi sta facendo il miglior servizio di trasporto: mi sta portando con sé. Sono assolutamente dentro quel libro».
Il racconto di De Luca è così: ricco di immagini, aneddoti e momenti personali. È stato un attimo, per me, vederlo su un autobus che dalla FIAT lo riportava a casa, totalmente immerso nella lettura, saldamente condotto da quel libro giusto.
La pagina di un libro può diventare un rifugio dalle circostanze e può permettere di salvare il tempo che altrimenti andrebbe perso. Ma leggere, riflette De Luca, ha un effetto secondario che oggi è molto importante: uno che legge molti libri ottiene in cambio una buona conoscenza della lingua italiana. La proprietà di linguaggio è un traguardo involontario per chi legge.
Lo scrittore napoletano si muove dalla propria esperienza di lettore per avviare una considerazione sul linguaggio generico oggi diffuso: «Ci troviamo di fronte a una continua falsificazione ufficiale della lingua», ma la proprietà di linguaggio permette di masticare le parole che ci vengono proposte e di sputarle via, spingendoci a cercare parole diverse al posto di quelle che vogliono farci inghiottire.
De Luca ci invita a soffermarci sull’uso di alcune parole, tra cui emergenza: «Il terremoto è una catastrofe, un’emergenza». Non è vero, ribatte, perché il terremoto è la nostra condizione abituale da moltissimo tempo: l’Italia è un paese sismico. Tuttavia, invece, di preoccuparci di proteggere le nostre case e gli edifici di edilizia pubblica, compriamo cacciabombardieri che costano una fortuna non solo per l’acquisto, ma anche per il mantenimento. L’Italia, però, non viene bombardata dal cielo, viene scossa dal basso, dalla terra.
Chi, parlando di terremoto, sceglie la parola «emergenza» non fa che ammettere la propria incapacità: il terremoto è un fatto naturale, ordinario, che si può affrontare, ma diventa emergenza, se non lo si sa gestire. Esattamente come l’emergenza rifiuti. Emergenza è una di quelle parole che non bisogna inghiottire: è un termine losco, imbroglione.
Ma il terremoto fa paura e non è un caso che sia uno dei mostri ospitati dal libro di Erri De Luca e Alessandro Mendini, uscito a settembre per Feltrinelli.
De Luca e Mendini si sono conosciuti una sera, a cena. Mendini, un architetto e designer milanese, con le sue opere in giro per il mondo. De Luca, uno scrittore napoletano, che è stato operaio. Entrambi sono uomini di poche parole, ma quando Mendini gli rivela di essere impegnato a disegnare mostri, De Luca gli propone di mandargli qualche disegno per vedere se gli avrebbe suggerito qualcosa. Il suo primo mostro è proprio il Terremoto: un villaggio attraversato da crepe, simile a puzzle.
Per un anno Mendini ha continuato a disegnare i suoi mostri e mandarli a De Luca, la cui risposta è stata l’esplorazione di un suo mostro interiore. Per un anno gli autori hanno fatto visita ai mostri dentro di loro.
«È stato come entrare nel labirinto del Minotauro, ma senza preucazioni per tornare indietro o per difendermi». Dai mostri, spiega De Luca, non ci si stacca. Non si possono distruggere: alcuni mostri sono piantati dentro di noi, magari fin dall’infanzia, e per questo motivo che sono i «Diavoli custodi».
Titolo: Diavoli custodi
Autori: Erri De Luca e Alessandro Mendini
Prima edizione: Feltrinelli - 14 settembre 2017
Pagine: 97
Prezzo: Cartaceo - € 14,00; ebook - € 9,99
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Diavoli custodi è un libro/collezione che ospita sulla pagina di sinistra, quella che ha la precendenza, i mostri disegnati da Mendini e su quella di destra la reazione di De Luca. Non è un percorso terapeutico proprio perché i mostri non sono stati sdradicati.
In un’epoca in cui le paure ci sommergono e sono spesso ingiustificate, conservate e cristallizzate in un tempo statico, Diavoli custodi è una faccenda che ci riguarda. Mendini e De Luca hanno scelto di dare alle paure un secondo tempo, quello necessario a verificarle, a definirle e a renderle inefficaci.
«La possibilità di definire è una delle proprietà secondarie del linguaggio a cui sono affezionato» racconta De Luca. Le parole permettono di descrivere i mostri, che sono generici e oscuri, dando loro una migliore definizione, consentendo di guardarli.
Conservarli nell’attesa che diventino buoni per qualcosa equivale a continuare ad accettare e ripetere le false parole che ci vengono ogni giorno proposte.
Io forse sono un po’ di parte, ma De Luca, che non avevo mai potuto ascoltare dal vivo, mi ha incantata con un incontro in cui ha portato alla luce il legame tra la realtà e le parole che la costruiscono e definiscono, evidenziando l’inestimabile valore del tempo perso a leggere chilometri di libri.
p.s. Se vuoi conoscere la mia opinione sul libro dopo la lettura, ecco la recensione.
❤️
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