Titolo: Il bambino che non era vero
Titolo originale: The stolen child
Autore: Keith Donohue
Traduttore: E. Humouda
Editore: Rizzoli
Prima edizione italiana: giugno 2006
Prima edizione: 2006
Pagine: 339
Prezzo: 17,50 euro
Non chiamateci gnomi, né fate. Non vogliamo più essere chiamati così. Una volta era la parola perfetta per designare una grande varietà di creature, ma oggi ha troppi significati. (…)
Se volete darmi un nome, io sono come loro, un folletto.
O meglio, sono un changeling. Noi rubiamo bambini e ne prendiamo il posto. Il folletto diventa bambino e il bambino folletto.
Questo è l’inizio del primo capitolo di Il bambino che non era vero.
Non esisto più.
Questa non è una fiaba, ma la vera storia della mia doppia vita, che lascio dove tutto ebbe inizio, nel caso venissi ritrovato.
La mia storia comincia quando avevo sette anni e la mente libera dai desideri di oggi. Quasi trent’anni fa, un pomeriggio d’agosto, scappai di casa e non tornai più.
Come forse avrete già intuito, questo è invece l’incipit del secondo capitolo. A parlare è Henry Day, un bambino come tanti, che però non è più tale. Quasi trent’anni prima è stato rapito dai folletti ed è diventato uno di loro, mentre qualcun altro ha preso il suo posto.
La prima cosa che mi ha colpito è proprio l’alternarsi dei punti di vista con cui viene portata avanti la narrazione.
Da una parte il folletto che ha preso il posto di Henry Day, il “mostro” che ha ingannato tutta la sua famiglia per rientrare nel mondo degli umani; dall’altra parte Aniday, come adesso viene chiamato il piccolo tra i suoi nuovi compagni.
Il folletto si integra nella nuova famiglia, e ci racconta degli ostacoli che deve affrontare giorno dopo giorno per ingannare i genitori e tutti gli amici. Ma il nuovo Henry Day non è l’essere diabolico che potremmo aspettarci, perché il suo desiderio non è tanto quello di imbrogliare, quanto riappropriarsi della vita umana che ha abbandonato quando a sua volta è stato rapito dai folletti, tanti anni prima.
E senza sapere che qualcuno ha preso il suo posto, Aniday entra a far parte di questa strana comunità di folletti, dove viene cresciuto e accudito come uno di loro. Con alcuni, in particolare, stringerà legami molto forti e riuscirà ad adattarsi alla sua nuova vita.
Ma il passato torna presto a tormentare entrambi gli Henry Day, quello nuovo e quello ormai trasformato.
Le voci e le superstizioni non sono facili da dimenticare e i folletti devono stare attenti, perché la città sembra intenzionata a espandersi e cancellare la loro esistenza.
Le due voci che si alternano nella storia sono in perfetto equilibrio tra loro. Entrambi cercano di andare avanti e allo stesso tempo di mantenere i ricordi di ciò che sono stati. Viaggiano in parallelo e allo stesso tempo in contrasto, avvicendandosi nella narrazione di ciò che succede dopo la strana scomparsa, e soprattutto il ritrovamento, del piccolo Henry Day.
Il folletto che ne ha preso il posto cresce, diventa adulto, ma sempre con l’ombra della sua vera natura a perseguitarlo.
L’unico a intuire qualcosa è proprio il padre di Henry. Non lo dirà chiaramente, ma i suoi sguardi e i suoi silenzi parlano per lui.
Lo ammetto, ho finito per provare più pietà per il folletto che ruba la vita di Henry che del bambino stesso proprio per la sua incapacità di riuscire a godersi la vita che ha ottenuto. Ha aspettato decenni per poter tornare tra gli umani, e adesso che ci è riuscito è perseguitato dal timore di essere scoperto, dal timore che loro tornino a prenderlo.
La cosa più spietata al mondo è l’amore. Quando l’amore finisce, ci si deve accontentare dei ricordi.
L’intera storia è permeata da un velo di malinconia e di rimpianto che lascia un sapore amaro.
Si parla di vite rubate, vite intrappolate, sospese nel tempo, ed è impossibile non sentirsi catturati nella stessa rete di paure in cui si nasconde Henry.
Non sono un’amante dei libri malinconici, ma questo mi ha piacevolmente colpito, soprattutto per lo stile. Mi è piaciuto molto l’alternarsi delle due voci narranti e sono riuscita a immedesimarmi in entrambi i protagonisti, cosa non così scontata.
Anche il finale l’ho trovato azzeccato e in tema col resto del racconto, anche se non esattamente di mio gusto. Diciamo che mi ci ero già rassegnata.
In ogni caso vi consiglio questa lettura. Per me è stata una piacevole sorpresa!
Il mio voto
4 specchi
AlaisseQuesta recensione partecipa a Tributes Reading Challenge.
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