Sono una donna bianca e cisessuale. Nonostante il rapporto con esso sia complesso, ho un corpo considerato conforme. Ho potuto studiare e continuo a farlo perché mi piace. Lavoro e sono quasi economicamente indipendente.
Ho la possibilità di curare il mio benessere psicologico, di regalarmi viaggi, comprare libri, visitare musei, frequentare corsi. A parte l’essere una giovane (al contempo non abbastanza giovane) donna, le mie caratteristiche identitarie mi consentono di godere privilegi che dipendono da me per niente o solo in minima parte.
Siamo tuttǝ inseritǝ in una struttura gerarchica di privilegio: la posizione rispetto al vertice determina l’ampiezza dei privilegi di una persona, ma non è data una volta per tutte perché dipendente dai modelli culturali.
Al vertice si trova l’essere umano standard: l’uomo bianco, cisessuale ed eterosessuale. Egli aderisce e spende energie per garantirsi la futura adesione alla norma, limitando la propria e l’altrui libertà.
A definire il privilegio è la distanza dallo standard e la conseguente natura degli ostacoli che influiscono nel processo di autodeterminazione.
Sono femminista perché sono consapevole di avere dei privilegi e vorrei non averli: se non ci fossero barriere sociali e culturali, non esisterebbero vantaggi da definire privilegi. Le limitazioni e le discriminazioni, che spesso vengono giustificate in base a caratteristiche fisiche, etniche, geografiche o economiche, non sono determinate biologicamente. Sono, piuttosto, costruzioni culturali, alimentate e perpetuate dalla società, non dalla biologia.
Per me, il femminismo è uno strumento di pensiero critico, decostruzione e autodeterminazione. Non sono sempre stata femminista, anche se ho creduto di esserlo. Sto diventando femminista oggi, mentre leggo, ascolto, osservo e mi confronto. Riesci a cogliere l’importanza che ha la perifrasi progressiva che ho scelto per descrivermi? Mi assicura un divenire, un’azione mai finita pronta a espandersi e adattarsi.
Può sembrare un dettaglio, persino una frivolezza, ma le parole che scegliamo, usiamo e ci abituiamo ad usare plasmano le nostre esperienze. Attraverso esse mappiamo la realtà, le nostre relazioni e ci inseriamo all’interno della struttura sociale.
Le parole non sono entità astratte, come spesso tendiamo a pensare. Esse creano letteralmente il mondo intorno a noi e quello dentro di noi, il mondo delle emozioni più profonde, dei pensieri. Ogni parola è una mattone di quella che noi ci illudiamo essere una realtà oggettiva, uguale per tutti, ma che è invece il frutto di una costruzione del tutto personale e soggettiva.
Fabrizio Acanfora, In altre parole. Dizionario minimo di diversità
Per questo, e non solo perché sono una lettrice e per (de)formazione e inclinazione le amo, sono attenta alle parole e al linguaggio. Per me, scegliere e veicolare le parole giuste è un atto di resistenza, non contro il cambiamento ma contro l’oppressione, una modalità per ripensare le strutture di potere.
Concettualizzare, visualizzare la diversità attraverso le parole che la definiscono è un esercizio che apre il nostro sguardo verso orizzonti sconosciuti. Ci fa comprendere mondi fino a oggi considerati ostili a causa di informazioni errate o della subdola spinta al conformismo messa in atto dalla società, anche attraverso una falsa inclusione che integra a caro prezzo solo quelle diversità più spendibili e gestibili.
Vera Gheno, prefazione a È facile parlare di disabilità (se sai davvero come farlo) di Iacopo Melio
Nel contesto dei femminismi e della convivenza delle differenze, il tema linguistico apre a due ordini di controargomentazioni. La prima è oppositiva al cambiamento: una sorta di affezione alla grammatica appresa a scuola e al lessico quotidiano. Con questo attaccamento si sollevano critiche ai femminili professionali o all’introduzione di soluzioni alternative più inclusive. Per alcune persone si tratta di aberrazioni linguistiche; per altre sono scelte non necessarie: una sindaca, una presidentE, non sarà meno donna se viene chiamata il sindacO, il presidente.
In effetti, le cose non cessano di esistere soltanto perché non hanno nome o perché alcuni parlanti decidono di non adottare la concordanza grammaticale. Eppure le parole concorrono a rendere visibile la realtà: sono strumenti potenti e per questo motivo è importante usarle con consapevolezza.
La seconda critica si riassume con l’enunciato «fatti, non parole», sottolineando che i fatti hanno una maggiore incidenza sulla realtà. Ed è vero: a nulla serve un linguaggio ampio, se le azioni escludono e discriminano.
Perché se è pur vero che esse non possono cambiare la realtà, contribuiscono senz’altro a rendere più evidenti ai nostri occhi determinati aspetti di essa che, finché non venivano nominati, rimanevano cognitivamente in secondo piano. Quando una cosa, una caratteristica umana, un evento, un disagio hanno un nome, diventa decisamente più difficile fare finta che non esistano.
Vera Gheno, prefazione a È facile parlare di disabilità (se sai davvero come farlo) di Iacopo Melio
Le parole sono uno strumento di conoscenza: nominare e definire ciò che ci circonda ci consente non solo di parlarne, ma anche di comprenderlo più profondamente. Mi fermo a riflettere sulle parole che scelgo e su quelle con cui entro in contatto, poiché esse modellano il nostro pensiero e la nostra visione del mondo, influenzando la percezione che abbiamo di noi stessi e degli altri. Le parole hanno il potere di generare cambiamenti sociali, di promuovere il rispetto, il riconoscimento, l’emancipazione e la parità.
Sto imparando a essere una femminista, un percorso che ha avuto un inizio e che, spero, non avrà mai fine. Mi riconosco nell'approccio intersezionale che analizza le intersezioni e le sovrapposizioni tra discriminazioni e identità e si interseca alla capacità del linguaggio di portare allo scoperto esperienze e vissuti spesso invisibili o ignorati.
Il mio rapporto con il linguaggio è in continua evoluzione, perché le lingue si adattano costantemente alla realtà. Non sempre è facile essere consapevoli delle trasformazioni sociali, ma ritengo che adottare un linguaggio ampio e impegnarsi per il riconoscimento e l’accessibilità sociale di tutte le persone, contrastando la trappola del privilegio, siano azioni cruciali per il futuro.
Rispecchiare e valorizzare la pluralità di esperienze e identità non è solo una questione di forma, ma una pratica politica e culturale che arricchisce.
L'orgoglio e il privilegio di essere tua amica prima ancora che tua lettrice, anche se lo sono da prima, trae le sue radici dal tuo approccio alla vita, alla socialità, alla comunicazione. È un punto di arrivo di consapevolezza, ma sopportare un punto di partenza di studio questo tuo post, in un dialogo che trascende me e te come donne e come esseri umani, ma arriva a comprendere tuttǝ. Leggerti apre la mente e tiene insieme i pezzi di dialoghi presenti e futuri. Leggerti è prezioso come non mai. Grazie 💜
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